Oggi, il/la/id presidente del consiglio, Giorgia Meloni, si è presentato/a alle Camere per ottenere la fiducia. Un discorso molto lungo, circa un’ora e dieci, inframmezzato da frequenti incespicate nella lettura di un testo che aveva la conformazione e gli accenti di un comizio, per fornire conferme ma anche rettificare alcune traiettorie e ridimensionare aspettative. Proviamo a spigolare il testo.
C’è subito un riferimento all'”anomalia” italiana, quella che negli ultimi 11 anni, ha prodotto
[…] un susseguirsi di maggioranze di governo pienamente legittime sul piano costituzionale, ma drammaticamente distanti dalle indicazioni degli elettori. Noi oggi interrompiamo questa grande anomalia italiana, dando vita ad un governo politico pienamente rappresentativo della volontà popolare.
Constatazione formalmente corretta, che tuttavia non dovrebbe prescindere dal fatto che questa “anomalia” deriva dal tragico divorzio dalla realtà che caratterizza la classe politica italiana, così abile a vendere il Colosseo a elettori creduli e così fulminea, soprattutto a destra, a gridare al complotto appena arriva il conto. Se il governo Meloni riuscirà a tenere ancorato il paese alla realtà, gliene renderemo merito. Ma sarà durissima, viste le premesse e malgrado alcune evidenti inversioni di rotta della leader della coalizione pro tempore.
Ci vuole più Europa
Segue riferimento all’Unione europea, che Meloni vuole aiutare a essere più efficace nella gestione delle crisi. Ad esempio:
Perché come è stato possibile, ad esempio, che un processo di integrazione nato come comunità del carbone e dell’acciaio nel 1950 si ritrovi a distanza di più di 70 anni – e dopo aver esteso a dismisura le materie di propria competenza – a non avere soluzioni efficaci proprio in tema di approvvigionamento energetico e di materie prime? Chi si pone questi interrogativi non è un nemico o un eretico, ma qualcuno che vuole contribuire a una integrazione europea più efficace nell’affrontare le grandi sfide che l’attendono (…)
Quindi, par di capire, la sovranista Meloni vuole più Europa nella sicurezza energetica. Che va bene, per carità, ma occorre fare attenzione a questo cherry picking di cose che vogliamo e non vogliamo dall’Europa, che è un po’ da furbetti del senno di poi. Impostazione che si ritrova anche a sinistra, nell’europeismo acritico ma altrettanto à la carte quando invoca il superamento del principio di voto unanime per passare alla maggioranza qualificata. Salvo quando l’Italia si ritrova in minoranza e si invocano le nostre peculiarità.
A parte ciò,
Questo Governo rispetterà le regole attualmente in vigore e nel contempo offrirà il suo contributo per cambiare quelle che non hanno funzionato, a partire dal dibattito in corso sulla riforma del patto di stabilità e crescita.
Il che è piuttosto rassicurante. Molto robusta la parte sulla guerra e il posizionamento italiano. Ad esempio, senza applausi dai banchi leghisti:
Ma sbaglia chi crede sia possibile barattare la libertà dell’Ucraina con la nostra tranquillità. Cedere al ricatto di Putin sull’energia non risolverebbe il problema, lo aggraverebbe aprendo la strada ad ulteriori pretese e ricatti, con futuri aumenti dell’energia ancora maggiori di quelli che abbiamo conosciuto in questi mesi.
Un pensiero umanamente solidale al/alla presidente del consiglio che ha in maggioranza Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Nel discorso di Meloni c’è anche molto realismo, e altrettanti potenziali attriti coi partner di coalizione, quando afferma che
Anche per questo, sarà necessario mantenere e rafforzare le misure nazionali a supporto di famiglie e imprese, sia sul versante delle bollette sia su quello del carburante. Un impegno finanziario imponente che drenerà gran parte delle risorse reperibili, e ci costringerà a rinviare altri provvedimenti che avremmo voluto avviare già nella prossima legge di bilancio.
Importante vedere se i suoi alleati non proporranno di fare altro deficit, minacciando di fare esplodere l’Italia se la Bce non si rimetterà a stampare, oppure se prenderanno la via del saldo e stralcio (per gli amici, condono) su anni d’imposta a noi sempre più vicini. O magari su quelli futuri, hai visto mai?
sole, mare, trivelle
A stretto giro, arriva poi il/la premier energetico/a, e ce n’è per tutti i gusti:
I nostri mari possiedono giacimenti di gas che abbiamo il dovere di sfruttare appieno. E la nostra Nazione, in particolare il Mezzogiorno, è il paradiso delle rinnovabili, con il suo sole, il vento, il calore della terra, le maree e i fiumi. Un patrimonio di energia verde troppo spesso bloccato da burocrazia e veti incomprensibili. Insomma, sono convinta che l’Italia, con un po’ di coraggio e di spirito pratico, possa uscire da questa crisi più forte e autonoma di prima.
Quindi, vediamo: mari per il gas, sole e vento per le rinnovabili. Sono lontani i tempi di Meloni contro il cosiddetto referendum sulle trivelle, ricordate? Ma ognuno ha diritto a cambiare idea, come sappiamo. Per fortuna che c’è il nostro mare, vien fatto di dire. E nel frattempo, la porti un bacione a Piombino.
Segue poi il rosario delle cupe previsioni economiche e la rivendicazione che lei e il suo partito avevano avvertito per tempo della tempesta in arrivo. Avevano avvertito tutti tranne forse i colleghi di coalizione e loro stessi, a giudicare da programmi con imponenti impegni di spesa e la necessaria reticenza sulle coperture. Sempre della serie “dire la verità agli italiani”, per evitare che la realtà abbatta i governi e poi ci si trovi a piangere sull’assenza di governi politici. Ma transeat.
Segue la metafora dell’Italia come l’Amerigo Vespucci, e pronti a intonare “siamo il paese più bello del mondo, e ci dispiace per gli altri, che sono tristi…”, eccetera.
Vieni a vedere la mia collezione di avanzi primari
Ma come tranquillizzare gli investitori a fronte di un debito al 145%? Nel solito modo:
Potremmo rispondere citando alcuni fondamentali della nostra economia, che rimangono solidi nonostante tutto: siamo tra le poche nazioni europee in costante avanzo primario, ovvero lo Stato spende meno di quanto incassa, al netto degli interessi sul debito. Il risparmio privato delle famiglie italiane ha superato la soglia dei 5 mila miliardi di euro e, in un clima di fiducia, potrebbe sostenere gli investimenti nell’economia reale.
Al solito, dunque: l’avanzo primario visto come raccolta di punti-fragola per chiedere sconti vari a Bruxelles, e non invece per quello che è: la certificazione del fallimento delle policy e una zavorra alla crescita, usata per “rassicurare” gli investitori mentre ci impoveriamo. A ruota, l’immancabile riferimento al risparmio privato come “garanzia” del debito pubblico, in caso servisse la “grande compensazione” tra debito pubblico e ricchezza privata. E anche come giacimento a cui condurre i compatrioti, con una bella repressione finanziaria, a “investire nell’economia reale italiana”.
Certo, è tutta questione di flussi causali: se cresceremo, avremo opportunità d’investimento domestiche. Se invece l’idea è quella di rovesciare la prospettiva e “condurre” il risparmio privato verso spese di sistema, saranno dolori. Trovo confortante, ad esempio, che Meloni abbia ribadito che “serve la crescita” e non “avventurismi finanziari più o meno creativi”. A qualcuno saranno fischiate le orecchie.
Benvenuto al capitale estero in Italia ma no a “logiche predatorie” sembra scritto dalla buonanima di Massimo Catalano. Resta da definire il concetto di “produzioni strategiche nazionali”, che per molti (troppi) politici sono anche le bancarelle degli ambulanti o qualche azienda decotta in settore defunto. Poi strepitiamo contro la Germania ed i suoi aiuti di stato.
Fratelli di PNRR
Sul PNRR, Meloni incensa il genio incompreso di Giulio Tremonti:
Fondi raccolti con l’emissione di debito comune europeo per fronteggiare crisi di portata globale. Una proposta avanzata a suo tempo dal governo di centrodestra con l’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti, per anni avversata, talvolta derisa, ed infine adottata.
Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, eccetera eccetera. Ah, tra l’altro mi pare che proprio il partito di Meloni non fosse entusiasta alla prospettiva del PNRR. Ricordate?
Meloni riprende uno dei temi di campagna elettorale quando identifica la debole crescita del paese con la debolezza del suo sistema politico. In che senso?
Uno di questi è certamente l’instabilità politica. Negli ultimi vent’anni l’Italia ha avuto in media un governo ogni due anni, cambiando spesso anche la maggioranza di riferimento. È la ragione per la quale i provvedimenti che garantivano sicuro e immediato consenso hanno sempre avuto la meglio sulle scelte strategiche. È la ragione per la quale le burocrazie sono spesso diventate intoccabili e impermeabili al merito. È la ragione per la quale la capacità negoziale dell’Italia nei consessi internazionali è stata debole. Ed è la ragione per la quale gli investimenti stranieri, che mal sopportano la mutevolezza dei governi, sono stati scoraggiati. Ed è la ragione la quale siamo fermamente convinti del fatto che l’Italia abbia bisogno di una riforma costituzionale in senso presidenziale, che garantisca stabilità e restituisca centralità alla sovranità popolare. Una riforma che consenta all’Italia di passare da una “democrazia interloquente” ad una “democrazia decidente”.
Ho assai seri dubbi e altrettante riserve circa il fatto che un governo imbullonato possa garantire riforme e crescita. Questa mi pare una assoluta fallacia. Ma posso sbagliarmi, vedremo. Magari lo spin piacerà molto alle anime semplici sempre alla ricerca di un centro di gravità permanente e di una fonderia di proiettili d’argento che funzioni a energie rinnovabili.
Segue riferimento alla ormai mitologica autonomia differenziata, un processo
[…] già avviato da diverse Regioni italiane secondo il dettato costituzionale e in attuazione dei principi di sussidiarietà e solidarietà, in un quadro di coesione nazionale.
E tuttavia, poiché serve sempre un do ut des, che è il motivo per il quale questo paese sta morendo di favori e di schiene reciprocamente grattate,
È nostra intenzione completare il processo per dare a Roma Capitale i poteri e le risorse che competono a una grande capitale europea e dare nuova centralità ai nostri Comuni.
Se l’autonomia differenziata deve essere controbilanciata da altri, ennesimi soldi a Roma Capitale, magari per investimenti imprescindibili a tutela della necessaria privacy dei conducenti dei bus della municipalizzata, è un problema. Come dite? Sto facendo neoqualunquismo e populismo da due soldi? Lo fanno tutti, invoco pari opportunità! E comunque, se lo scambio avverrà, finalmente avrà senso dirla in vernacolo, vista dall’Urbe: datece li sordi.
Seguono, in ordine sparso, meno burocrazia, “patto fiscale” con aziende e famiglie (yawn), “più assumi, meno paghi“, tassa piatta su incrementi di reddito medio rispetto al triennio precedente, flessibilità nelle uscite dal lavoro con preavviso di proroga di una sorta di Quota 102 in attesa che si trovino i soldi (cercando di non creare troppi poveri con questi pensionamenti), ma assieme alle pensioni dobbiamo garantire anche i giovani, che di questi prepensionamenti sono le vittime predestinate. Niente tradeoff, siamo italiani e pure patrioti. Ah, e una spruzzata di Bibbiano. Che serve a Meloni per dire “sono sempre io, non mi riconoscete?”
Prima gli africani
Lotta alla mafia, la mitopoiesi dell’impegno politico della giovane Meloni nella strage di via D’Amelio. E poi il controllo dell’immigrazione e l’immancabile “aiutiamoli a casa loro”:
Il prossimo 27 ottobre ricorrerà il sessantesimo anniversario della morte di Enrico Mattei, un grande italiano che fu tra gli artefici della ricostruzione post bellica, capace di stringere accordi di reciproca convenienza con nazioni di tutto il Mondo. Ecco, credo che l’Italia debba farsi promotrice di un “piano Mattei” per l’Africa, un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area sub-sahariana. Ci piacerebbe così recuperare, dopo anni in cui si è preferito indietreggiare, il nostro ruolo strategico nel Mediterraneo.
Qualcuno dovrebbe informare il/la/id presidente Meloni che un “Piano Mattei” per l’Africa lo stanno realizzando i cinesi, da molti anni. Sulle coste settentrionali del continente è all’opera il Sultano Erdogan e poi c’è il gruppo Wagner di Zar Vlad: una Ong molto assertiva, diciamo. A me però resta un dubbio: siamo sicuri che, giunti al dunque e a grandi esborsi alla cooperazione internazionale, non si alzerà qualche patriota a dire “prima gli italiani?”
Possiamo chiuderla qui. Buona navigazione al/la presidente Meloni: ne avrà un disperato bisogno. Dovessi cercare un’omissione rilevante nel suo comizio discorso, direi che non ha citato i progressi della scienza medica. Quelli che porteranno al vaccino per le dissonanze cognitive di eletti e, soprattutto, elettori. Ho detto vaccino? Ma se venisse scoperto, sapete quante carriere politiche morirebbero allo stato di morula? E direi quindi che non è il caso, soprattutto con questo governo.
Foto: governo.it – (CC BY-NC-SA 3.0 IT)