Il senatore Kerry esprime così la propria riconoscenza nei confronti dell’Italia: “Le condizioni dell’esercito iracheno erano così patetiche che persino l’esercito italiano avrebbe potuto prenderli a calci nel sedere“. Affermazione certamente infelice, ma che la dice lunga sull’approssimativa conoscenza della vicenda irachena da parte del candidato democratico, che finora non ha brillato per coerenza. La posizione di Kerry è abbastanza trasparente, e oseremmo dire cinica: costringere gli alleati degli Stati Uniti ad un “riequilibrio” dei costi, finanziari e soprattutto umani della missione irachena. Uno dei temi forti della dialettica del senatore del Massachusetts è quello di ricordare che non è possibile parlare di “coalizione” quando gli Stati Uniti sopportano il 90 per cento dei costi e delle vittime militari. Aspettiamo la “interpretazione autentica” di questa frase da parte della nostra sinistra, che ormai vede in Kerry il nuovo uomo della provvidenza (forse per un riflesso condizionato alla Furio Colombo nei confronti di miliardari politically correct), e nel frattempo proponiamo l’ultima chicca del nostro impareggiabile flip-flopper, direttamente tratta dall’ultimo dibattito televisivo contro Bush, quelli amati dalla nostra stampa, sempre così ansiosa di emettere biscardiani giudizi su chi ha vinto e chi ha perso:
Nello stesso dibattito di ieri ha detto:
“Well, let me tell you straight up: I’ve never changed my mind about Iraq. I do believe Saddam Hussein was a threat. I always believed he was a threat. Believed it in 1998 when Clinton was president. I wanted to give Clinton the power to use force if necessary.”
Poi, più in là, rispondendo a una domanda sull’Iran:
“It’s a threat that has grown while the president has been preoccupied with Iraq, where there wasn’t a threat”.
Nel frattempo segnaliamo la quarta vittoria dei conservatori di John Howard alle elezioni politiche australiane. Un risultato storico per quel paese, soprattutto in considerazione del fatto che, se si fossero ascoltati i giudizi dei media, il governo Howard avrebbe dovuto essere spazzato via da un’insurrezione di australiani inferociti per l’avventura irachena, le menzogne sulle armi di distruzione di massa, le “deportazioni” di “migranti” indonesiani, approdati illegalmente sulle coste australiane per ingrassare organizzazioni criminali internazionali. Nulla di tutto ciò. Vengono a mente i commenti sul povero Tony Blair, dipinto ad intervalli regolari come un usurpatore privo di seguito nel paese e nel proprio partito, sempre “nei guai”, sempre prossimo “al minimo storico” nei sondaggi (nuovo feticcio della società post-industriale), ma sempre regolarmente vincitore al momento della conta, quella vera, non quella degli umori mediatici, mai disinteressati.
Nuovo moto di sdegno della sinistra davanti alla notizia che il tribunale di sorveglianza di Roma ha concesso dei permessi premio “per buona condotta” a Giovanni Brusca, l’uomo che premette il bottone a Capaci, l’uomo che sciolse un bambino nell’acido, dopo averlo strangolato. Un moto di sdegno condivisibile, ma vagamente farisaico: la legislazione “premiale” sui pentiti non è mai cambiata, è ancora quella utilizzata per istruire i processi contro Andreotti, e per dire che Berlusconi è un mammasantissima. Se l’utilizzo dei pentiti andava bene allora, perché non dovrebbe andar bene ora?