Come ogni autunno, e’ ricominciata la saga nazional-popolare della legge finanziaria, quest’anno con la “novità” delle tanto strombazzate riduzioni alle aliquote sui redditi personali. In attesa di vedere come finirà, ci colpisce molto l’urlo di dolore del centrosinistra, e la cosa merita qualche approfondimento. L’Ulivo dice che tutta l’operazione è un gigantesco inganno, molto peggio di una partita di giro, perché gli enti locali saranno costretti ad applicare nuove tasse, mentre governo e maggioranza ritengono che il taglio delle aliquote servirà a rimettere in movimento un’economia asfittica come quella italiana. Crediamo che nessuna delle due cose sia vera: non è vero che gli sgravi fiscali serviranno a far ripartire l’economia italiana, che sta progressivamente deindustrializzandosi, non potendo più contare sulle svalutazioni competitive del cambio. Stiamo vivendo la fine di un sistema-paese, e solo un profondo trauma, simile all’uscita della lira dallo Sme nel ’92, potrà produrre un cambiamento durevole. Ma allo stesso tempo, abbiamo la netta, sgradevole impressione che in questo paese esista un blocco sociale che ha costruito le proprie fortune sulle tasse, e continua a non realizzare che le risorse sono finite. I comuni fingono di voler una qualche forma di “federalismo”, purché preservi la loro irresponsabilità fiscale, i sindacati vogliono la “concertazione”, cioè la sistematica sottrazione di valore aggiunto al lavoro dipendente e a favore dell’impresa purché continuino ad ottenere in cambio delle forme di sussidio pubblico alle proprie attività, vedi i patronati e non solo, i politici continuano a fare l’unica cosa che sanno fare, per natura: annusare l’aria e giocare di sponda. In Europa in questo momento stiamo affrontando la concreta minaccia del declino economico, che porta con sé inevitabilmente anche quello sociale, con buona pace del solito chiacchiericcio sulla multietnicità ineluttabile, meglio se islamica. Ci sono due modi per reagire al declino: quello di aumentare la dose di stato e regolamentazioni pubbliche, e quella di aumentare la flessibilità dell’economia, a tutti i livelli, anche se questo può (inizialmente) risultare doloroso. In Italia, siamo riusciti a trovare l’ennesima “terza via”: un nucleo di soggetti “protetti”, ed uno esterno di soggetti “flessibilizzati”, che vivono in una condizione di permanente precarietà. Ora attendiamo dal governo Berlusconi la riforma delle libere professioni, ultimo bastione medievale di una società sclerotizzata, dove alberga ancora il germe della rendita parassitaria, e che un governo sedicente “liberale” come questo non può non avere in agenda. Un bel tema “progressista”, sempre che qualcuno a sinistra riesca ad accorgersene, ma ne dubitiamo, visti i tradizionali riflessi pavloviani che questo schieramento sviluppa nei confronti dei poteri forti, in una permanente ansia da legittimazione che li fa apparire come i veri conservatori. Alla Grande Alleanza Democratica (perché, lo schieramento avversario è forse fascista? O forse “democratico” è qui inteso nello stile un po’ demodè ma sempre irresistibile del patto di Varsavia e del Comintern?) vorremmo suggerire di essere più “operativi” nella critica, magari ricostituendo un bel governo-ombra che presenti una legge finanziaria anch’essa ombra, ma che abbia proposte concrete per la finanza pubblica, senza limitarsi alla solita fraseologia millenaristica dei lutti e devastazioni prodotti dalla “destra” di Berlusconi.
Ombre rosse
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