Svolte epocali …

La firma apposta al rinnovo del contratto della pubblica amministrazione, nella tarda serata di ieri, sembra essere la riproposizione di un vecchio schema: gli aumenti li diamo subito, la ristrutturazione e riorganizzazione della pubblica amministrazione la rinviamo ad un momento successivo, che di solito tende ad essere differito sine die. E’ finita, quindi, che il governo ha concesso esattamente l’incremento del 5.01 per cento richiesto dalla Triplice; che si è impegnato a trovare le risorse aggiuntive rispetto a quanto inizialmente stanziato per il rinnovo (4.3 per cento) con la prossima legge finanziaria che, parecchi mesi prima della sua elaborazione, si trova già con nuovi impegni di spesa da coprire. Governo e sindacati hanno poi stralciato (pochi dubbi al riguardo…) la parte normativa del contratto, che prevedeva l’apertura di un negoziato sulla revisione del modello di contrattazione. Quest’ultima parte, con quella relativa al controllo della contrattazione integrativa, saranno oggetto di una lettera che il governo invierà alle parti.
Piuttosto esigua la parte dell’incremento complessivo destinabile a recuperi di produttività (non inferiore allo 0.5 per cento, di fatto siamo certi che si posizioneranno esattamente a quel livello), soprattutto considerando che i sindacati non amano politiche retributive eccessivamente differenziate su base formalmente meritocratica, pur considerando le evidenti difficoltà di misurazione della produttività nella pubblica amministrazione.
Come già accaduto per il plafond alla crescita nominale delle voci di spesa pubblica non oltre il 2 per cento, anche in questo rinnovo contrattuale il governo italiano ha tentato di scimmiottare Gordon Brown, ipotizzando una riorganizzazione della P.A. che porti, entro il 2007, all’uscita (per blocco di turnover, perché non possiamo immaginare formali licenziamenti) di 60.000 persone, come già previsto dalla Finanziaria 2005. In parallelo, l’entrata a regime delle nuove infrastrutture tecnologiche digitali, su cui punta il ministro dell’Innovazione Lucio Stanca, dovrebbe permettere di riassorbire l’impatto delle uscite, oltre a ridurre significativamente il peso delle funzioni di staff, cioè quelle a supporto delle attività interne della P.A.
Previsto anche, per i primi sette anni di servizio, il blocco alle richieste di trasferimento per i neo-assunti, che in tutti questi decenni ha provocato il classico fenomeno di “reflusso” verso il paesello natio (quasi sempre nel Mezzogiorno, vista la funzione di ammortizzatore sociale svolto dalla Pubblica Amministrazione nell’Italia post-unitaria) di legioni di travet, lasciando sguarnito il Centro-Nord.

Si tratta, a nostro giudizio, del solito giochetto delle tre carte: aumenti subito, riorganizzazioni mai. Basta ricordare che dal 1997 al 2002 i vari piani di mobilità messi a punto dai governi sono naufragati in un mare di circolari producendo una riduzione del personale pari solo al 2,5%, perché notoriamente l’Italia è una repubblica fondata sulla deroga.

Ci lascia alquanto perplessi la posizione del ministro dell’Economia, Siniscalco, secondo il quale il rinnovo dei contratti è essenziale “per il potere di acquisto dei cittadini, per l’efficienza della pubblica amministrazione, per evitare shock ai comparti produttivi del Paese“. Sarà certamente così, ma occorre ricordare che in Germania, il rinnovo del contratto dei pubblici dipendenti federali, in febbraio, ha visto il sostanziale blocco delle retribuzioni nominali per 2.1 milioni di persone, e vincoli di mobilità e crescita della produttività ben più stringenti. Ma in Germania il blocco delle retribuzioni nominali ha caratterizzato pressoché tutti i rinnovi dei contratti collettivi privati e pubblici contribuendo a produrre, come effetto collaterale positivo, una frenata dell’inflazione, che è ora inferiore alla media comunitaria, e che è servita a mantenere competitività sui mercati dell’export, pur in presenza di consumi delle famiglie sempre molto depressi, a causa della persistentemente elevata disoccupazione.
Ora attendiamo la seconda parte della strategia di rinnovo contrattuale, ricordando quello che successe nelle Ferrovie negli anni Ottanta e Novanta: a imponenti esodi incentivati corrispose una vera e propria esplosione delle retribuzioni di chi rimase in servizio.

Verificheremo nei prossimi mesi se questo in realtà è un governo comunista camuffato, che considera cioè la retribuzione come variabile indipendente. Per ora, ci consoliamo con le dichiarazioni di ieri del premier: siamo ricchi, belli, pieni di gioia, auto, case, e cellulari con i quali mandiamo un sacco di sms alle nostre mogli/mariti/fidanzate/fidanzati. Chisto è ‘o paese d’o sole…

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