La settimana macroeconomica

Negli Stati Uniti, l’aumento di un quarto di punto del tasso sui Fed Funds (ora al 3.25 per cento), e la fraseologia utilizzata dalla Federal Reserve nel proprio statement sembrano suggerire che la banca centrale statunitense sia divenuta più ottimista circa l’espansione in atto. Come recita il comunicato finale, malgrado pressioni inflazionistiche potenziali che restano elevate, l’espansione “resta salda”, e le condizioni del mercato del lavoro continuano a migliorare gradualmente, pur in presenza di crescenti prezzi dell’energia. E’ inoltre reiterato che la restrizione monetaria potrà proseguire a “passo misurato”, e che la politica monetaria si mantiene “accommodative“, in presenza di aspettative inflazionistiche di lungo periodo che restano contenute. Il mercato ha mostrato di confermare la fiducia nella capacità della Fed di mantenere sotto controllo le spinte inflazionistiche, come dimostra la reazione successiva alla pubblicazione del comunicato, che del resto s’inscrive in un movimento di più lungo periodo caratterizzato da contemporaneo appiattimento della curva e discesa dei rendimenti nominali sulla parte lunga della stessa. In particolare, il basso livello raggiunto dai rendimenti a lunga scadenza, che sono fuori dalla diretta portata della banca centrale, se non per eventuali iniziative di moral suasion come quelle già attuate lo scorso inverno da Greenspan, preoccupa i policymakers per le conseguenze di potenziale asset inflation su mercati quale l’immobiliare, mentre secondo altri analisti tale basso livello rappresenterebbe semplicemente il segnale di un rallentamento generalizzato della crescita mondiale.

Il cambiamento di fraseologia relativo al mercato del lavoro, in direzione cioè della valutazione di un miglioramento in atto rispetto allo scorso meeting, sembra suggerire che la Fed stia lievemente spostando la propria enfasi valutativa dalla crescita (che al momento non rappresenterebbe un problema) ai prezzi. La restrizione monetaria in atto dovrebbe quindi proseguire, almeno finché lo scenario previsivo centrale (crescita del prodotto interno lordo a fine anno compresa tra 3.75 e 4 per cento) resterà in essere, e le pressioni inflazionistiche non subiranno un significativo abbattimento. Ciò potrebbe implicare, soprattutto comparativamente con aree economiche quali Europa e Giappone un ampliamento del differenziale tra tassi a breve, che risulterebbe di sostegno al dollaro. Inoltre, il differenziale di crescita a favore degli Stati Uniti sembra destinato a mantenere e/o ampliare il deficit commerciale statunitense.

Dati piuttosto positivi anche da consumatori ed imprese: la fiducia dei consumatori cresce in giugno al massimo degli ultimi tre anni, sorretta dal buon andamento del mercato del lavoro e da redditi crescenti, finora tali da contrastare il costante aumento del prezzo delle benzine. L’indice del Conference Board aumenta al livello di 105.8 da 103.1 di maggio, nuovo massimo da giugno 2002, contro attese per un livello di 104.

Il passo della manifattura statunitense, rilevato dall’indice ISM, accelera in giugno per la prima volta in sette mesi, suggerendo un recupero delle imprese dalla fase di accumulazione indesiderata di scorte che ha contribuito nei mesi scorsi a deprimere i livelli di attività. L’indice sale da 51.4 a 53.8, confermando l’espansione in atto dal giugno 2003 (letture dell’indice superiori a 50 indicano espansione), e battendo le stime, poste anch’esse a 51.4. La componente dell’indice che monitora i nuovi ordini, che incide per circa un terzo del totale, cresce a 57.2, massimo dell’anno, da 51.7 in maggio. Migliore anche l’indice della produzione, da 54.9 a 55.6. Molto buono anche l’andamento dei prezzi pagati, da 58 a 50.5. Prosegue la contrazione del livello delle scorte, che sembra suggerire che le aziende, anche in relazione all’incertezza causata dal livello dei prezzi del greggio, stiano tentando di entrare nella stagione estiva con livelli piuttosto contenuti di giacenze. Occupazione manifatturiera prossima alla stabilizzazione.

In Area Euro, la manifattura nelle dodici nazioni che condividono la valuta comune europea si contrae in giugno meno delle attese, passando da 48.7 (minimo da 22 mesi) a 49.9, secondo l’indice PMI/Reuters, e contro attese per un livello di 49, con valori dell’indicatore inferiori a 50 che indicano contrazione. Il sottoindice che monitora i nuovi ordini torna a far segnare un’espansione, passando da 48.5 di maggio a 50.9. Il miglioramento è probabilmente da ascrivere al deprezzamento dell’euro sul dollaro, che sta finora in parte compensando l’effetto depressivo esercitato dai prezzi petroliferi. Ciò potrebbe risultare sufficiente ad interrompere il deterioramento del quadro macroeconomico, ma non abbastanza per generare un’espansione più sostenuta. Di fatto, la dinamica continentale resta sempre caratterizzata dalla impossibilità, per i produttori manifatturieri, a traslare sui consumatori finali i maggiori costi dei fattori produttivi, il che finisce con l’innescare la tendenza alla delocalizzazione degli impianti, per preservare redditività e margini di profitto. La debolezza dell’Area Euro sta condizionando anche i paesi che hanno con essa un elevato interscambio commerciale, come testimoniato dalla revisione al ribasso delle stime di crescita dell’economia svizzera per il 2005, che il governo della Confederazione ha ridotto dall’1.5 allo 0.9 per cento. La prosecuzione del trend attuale potrebbe quindi allontanare ulteriormente la prospettiva di un allentamento dei tassi europei, sul quale i mercati finanziari stanno invece scommettendo.

La fiducia delle imprese manifatturiere in Germania aumenta in giugno per la prima volta in cinque mesi, sulla scorta del deprezzamento dell’euro sul dollaro, e delle migliorate prospettive per l’export che ciò dovrebbe implicare. L’indice IFO, basato su una survey mensile di 7.000 aziende, cresce a 93.3 da 92.9 in maggio, a fronte di attese per un livello di 93.2.

Analogamente, anche la fiducia delle imprese francesi cresce in giugno per la prima volta in otto mesi, sulla scorta del deprezzamento dell’euro, che tende a rendere l’export più competitivo.
Sul livello di fiducia delle imprese francesi può inoltre aver influito l’annuncio, da parte del primo ministro De Villepin, di un pacchetto di misure di sostegno all’economia pari a 4.5 miliardi di euro che prevede, tra l’altro, tagli dei contributi sociali per le piccole imprese con un numero di dipendenti inferiore a 10 e superiore a 20, un bonus per i lavoratori disoccupati di lungo periodo che si spostano per accettare un’offerta di lavoro al di fuori del proprio comune di residenza, ed un credito d’imposta per i giovani lavoratori che accettano un’occupazione in un settore con elevato tasso di offerte di lavoro insoddisfatte.

Abituale nota stonata, la fiducia delle imprese italiane flette in giugno al minimo da tre anni. Anche le aspettative subiscono un deterioramento, al nuovo minimo da ottobre 2001, mentre migliorano le prospettive, su un orizzonte temporale di tre mesi, per gli esportatori.

Nel Regno Unito, la manifattura si contrae in giugno meno delle attese, per effetto di un recupero degli ordini che tende a compensare i maggiori costi energetici. Il recupero potrebbe allontanare i timori che la manifattura possa essere entrata in recessione nel primo semestre e ridimensionare quindi le aspettative per un imminente taglio dei tassi da parte della Bank of England.

In Giappone, la fiducia tra i grandi produttori manifatturieri cresce nel secondo trimestre più delle attese, come evidenziato dalla survey Tankan, il cui indice sale in giugno al livello di 18 da 14 di marzo, e contro stime per un livello di 16, primo recupero in tre trimestri.

La spesa delle famiglie guidate da lavoratori salariati flette in maggio dell’1.4 per cento, aggiustato per la stagionalità, con tasso di disoccupazione fermo al 4.4 per cento, eguagliando il minimo da più di sei anni. Sul dato ha tuttavia influito il clima più fresco della media stagionale, che ha rallentato gli acquisti legati alla stagionalità, quali quelli relativi all’abbigliamento.
Al contempo, i prezzi al consumo in maggio, al netto degli alimentari freschi, sono risultati invariati rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, anche per effetto degli aumenti di prezzo dei prodotti petroliferi raffinati. Il dato si confronta con un meno 0.2 per cento annuale registrato in aprile, e stime di consenso che ipotizzavano una flessione dello 0.1 per cento. Prosegue la tendenza al taglio delle tariffe da parte delle utilities, indotte dalla maggiore concorrenza, e questa deflazione “positiva” sta prolungando nel tempo la data di possibile uscita dalla politica di tassi d’interesse a zero.

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