Darwinismo socialcomunista

Il gap tra ricchi e poveri nelle città cinesi ha raggiunto livelli allarmanti, come segnalato dalla Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme, che ha definito “irragionevoli” i differenziali di reddito nelle aree urbane. Il quinto più povero degli abitanti delle città riceve solo il 2.75 per cento del reddito totale, mentre il quinto più ricco ne controlla venti volte tanto. Il dato rappresenta una novità rispetto alla tradizionale “linea di faglia” sociale, finora rappresentata dal differenziale tra i redditi urbani e quelli rurali. Il prossimo Piano Quinquennale, che sarà approvato dal Legislativo in marzo, sottolinea l’importanza di creare una società più egualitaria.

Secondo la Commissione il coefficiente di Gini, una misura della concentrazione il cui valore può variare tra zero in caso di perfetta eguaglianza ed uno in caso di massima disuguaglianza si troverebbe, per i redditi cinesi, ad un livello di 0.40 (ma per la World Bank sarebbe a 0.45), soglia che le autorità cinesi considerano di allarme. Peraltro, il valore del dato potrebbe essere anche maggiore, a causa della presenza di redditi non segnalati, caratteristici delle fasce più agiate della popolazione.

Secondo la Commissione, il crescente gap tra redditi urbani è da porre in relazione all’aumentata differenziazione delle retribuzioni tra settori produttivi ed al crescente numero di soggetti provvisti di un secondo reddito. Come noto, uno dei principali rischi per il mantenimento della coesione sociale cinese è dato dall’assenza di strutture di welfare previdenziale e sanitario: ciò contribuisce all’altissimo tasso di risparmio, che a sua volta influisce (mantenendo l’import depresso) sul forte surplus commerciale del paese. Il premier Wen Jiabao ha reiterato che l’obiettivo strategico delle autorità cinesi resta quello dell’azzeramento del surplus commerciale, che dovrà essere ottenuto stimolando i consumi, anche tramite l’istituzione ed il potenziamento di idonee reti di protezione sociale.

Recentemente il governo di Pechino ha raddoppiato la soglia di reddito esente dalla tassazione (l’equivalente della nostra no-tax area), ed alla fine del 2005 ha eliminato l’imposta agraria, basata sulla superficie coltivata e non sul valore del raccolto, e che pesava in modo vessatorio sui redditi rurali, oltre ad essere incompatibile con lo sviluppo della produttività agraria. L’élite al potere a Pechino prosegue quindi nel proprio tentativo di promuovere e consolidare lo sviluppo mantenendo livelli accettabili di coesione sociale, nella consapevolezza che il “metodo Bava Beccaris” non è sostenibile indefinitamente, oltre ad essere nemico dello sviluppo economico.

Ma il livello di contraddizioni del “modello cinese” sta crescendo oltre ogni limite storicamente conosciuto: basti pensare alla definizione di un quadro legislativo favorevole alla tutela dei diritti di proprietà, che è uno dei principali prerequisiti per la crescita economica, ma che è destinato ad alimentare una domanda di diritti civili che difficilmente potranno essere gestiti in un quadro istituzionale non democratico, come spiega anche Mark A. Miles nella bella intervista concessa a Daisy.

Quanto tempo occorrerà al sistema per implodere?

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