Un commerciante palestinese di Gaza, Ahmed Abu Dayya, in questi giorni sta facendo discreti guadagni , vendendo bandiere danesi pronte per essere date alle fiamme. Il prezzo non è particolarmente popolare (11 dollari) soprattutto per una popolazione economicamente stremata da un permanente stato di guerra e governata per decenni dalla cleptocrazia arafattiana. Ed infatti molti palestinesi si sono arrangiati, ricavando approssimative bandiere danesi e norvegesi da scarti di tessuto.
Le bandiere dei due stati scandinavi stanno quindi rapidamente sostituendo nel consueto rito dell’odio collettivo quelle con la stella di David, che peraltro il signor Ahmed pare acquisti direttamente da fornitori israeliani. Il business della produzione di bandiere è sempre molto florido nei Territori, come testimoniato dalla recente maxi-commessa di 60.000 vessilli da parte dell’ANP, per celebrare il ritiro israeliano da Gaza. Difficile però immaginare che il settore tessile possa fungere da volano per lo sviluppo economico palestinese: nella divisione internazionale del lavoro, il vantaggio competitivo resta saldamente in mano alla Cina. Fintanto che i kamikaze non diverranno tradeable goods, il saldo commerciale palestinese è destinato a restare in profondo rosso.
P.S. Questo blog aderisce alla campagna “Io compro danese”.