Voltati, Eugenio

Eugenio Scalfari, il nouveau philosophe dell’Ancien Régime, l’uomo che spiega la logica al Padreterno, il testimone del “secolo breve”, il costruttivista amante dei totalitarismi e della loro capacità di plasmare l’Uomo Nuovo, liberandolo dalle catene della Storia, è in questo periodo impegnato in un compito assai meno titanico: dimostrare al colto ed all’inclita che la Finanziaria 2007 non è poi così male, anzi che trattasi di artefatto di elevata qualità etica.

E lo fa da par suo, con dotte elucubrazioni logico-economico-esistenziali. L’ultima delle quali, apparentemente, è bruciata durante la fase di cottura. Nell’editoriale di ieri su Repubblica, Scalfari tenta di definire operativamente il concetto di classe media, ultimo passatempo degli italiani dopo il tramonto dei reality show. E lo fa col cipiglio che lo caratterizza, malgrado l’inesorabile trascorrere del tempo, che tutto corrompe.
Ecco quindi la sua definizione operativa di classe media:

“Allora ripropongo la domanda: qual è il ceto medio? La risposta è questa: il ceto medio è quello il cui reddito si colloca nei dintorni del reddito medio degli italiani.”

Really? E i dati, dove li troviamo? No problem, eccoli:

“La risposta la troviamo in un’inchiesta del 2004 effettuata dalla Banca d’Italia sulla distribuzione del reddito ed è una risposta sulla quale bisogna riflettere a lungo: il reddito medio degli italiani è di 24 mila euro annui, il Nord ha un reddito medio di 28 mila, il Sud di 17 mila. Avete capito bene? Questo dato significa che chi ha un reddito maggiore di 24 mila euro sta sopra la media e chi ce l’ha minore sta sotto la media.”

Bene, allora è tutto risolto: abbiamo la definizione di classe media! Eppure, qualcosa non quadra. Prima di tutto, la definizione di classe media: un concetto sociologico, non certo reddituale. Poi, la fonte di dati utilizzati da Scalfari, basata sul reddito medio disponibile, cioè al netto della tassazione ordinaria. Ancora, l’utilizzo di dati che incorporano tutta l’evasione fiscale: se il mio macellaio ha un imponibile Irpef di 6000 euro annui, è lui che spinge me verso la vituperata classe media, giusto? E poi, perché scegliere il reddito medio, misura viziata dalla presenza di outlier (i.e. di evasori totali e paratotali da un lato e milionari in euro non ancora domiciliati alle Cayman dall’altro), e che non considera quindi la dispersione dei dati, risolvendosi nel trionfo dei polli di Trilussa? Non sarebbe stato metodologicamente corretto, pur con i marchiani errori logici di cui abbiano detto sopra, elaborare il concetto di reddito mediano? Ma forse chiediamo troppo agli studi umanistico-filosofici di Scalfari. Se il Padre Fondatore creasse una partizione tra classi di contribuenti in base al gettito prodotto, la sua classe media da bricolage domenicale cambierebbe drammaticamente volto.

Singolare è poi l’indulgenza con cui Scalfari affronta i mancati tagli di spesa della finanziaria. In altre, e meno amichevoli, legislature la censura di Barbapapà si sarebbe abbattuta sul lassismo fiscale, e sul sottobosco di degenerazione morale che esso inevitabilmente comporta. Questa volta, no:

“Si dice: doveva tagliare gli sprechi. Doveva riformare il welfare. Doveva colpire gli statali. Doveva doveva doveva.

Mi viene in mente la risposta di Don Abbondio al cardinal Federico Borromeo che gli rimproverava di non aver celebrato il matrimonio tra Renzo e Lucia e di aver ceduto alle intimazioni degli sgherri di Don Rodrigo: ‘Eminenza, bisognava averli visti quei volti, averle udite quelle parole’. E il cardinale, anziché irritarsi, crollò il capo in segno di comprensione.
Padoa Schioppa di tutto si può accusare fuorché d’esser pusillanime. Né ha avuto sgherri alle calcagna.

Ma ha operato in un contesto politico. Ha ritenuto che le riforme necessitavano d’un rinvio a febbraio-marzo mentre gli obiettivi richiesti dai mercati e dall’Europa erano attesi entro novembre con la Finanziaria.”

Beh, circa il fatto che il fantasma di TSP operi in un contesto politico, ce ne eravamo già accorti, grazie dottor Scalfari.
Sorvoliamo sulla lezioncina liofilizzata di filosofia morale, peraltro viziata da strafalcioni epistemologici. Scalfari appartiene a quella categoria di dotti che amano frastornare il volgo utilizzando a profusione il latinorum, per restare nei dintorni manzoniani. Lo fa da oltre mezzo secolo, continuerà a farlo per omnia saecula saeculorum.
La definizione certamente più pregnante dello Scalfari-pensiero ce la fornisce Magdi Allam, che è stato suo collaboratore, nella sua bella biografia, Io amo l’Italia – Ma gli italiani la amano?:

“Riconosco a Scalfari il merito di aver realizzato un miracolo creando dal nulla il secondo quotidiano d’Italia che talvolta si aggiudica il primo posto. Ha avuto un’intuizione felice e ha saputo investire al meglio su alcuni professionisti per offrire un’alternativa a istanze politiche e culturali presenti nella sinistra italiana. Ma al tempo stesso lo reputo responsabile del degrado ideologico della stampa italiana, avendo legato lo straordinario successo di un grande giornale, formalmente indipendente, alla logica della militanza politica per promuovere campagne faziose e talvolta personali contro gli avversari. Scalfari è stato perennemente in bilico tra la politica militante e l’informazione obiettiva. Come politico ha fallito. Ma ha avuto, ahimè, successo nel lanciare il prototipo del “giornale-partito”. Lo scalfarismo è stato deleterio per la stampa italiana. E gli scalfariani sono diventati un esercito di giornalisti militanti, ideologicamente schierati a sinistra, che dilagano e controllano le redazioni delle grandi testate italiane formalmente indipendenti.”

Scalfari il king maker, la mosca cocchiera, il grande corruttore della stampa italiana e della sua etica. Un uomo per tutte le stagioni del potere. Perché è vero, solo gli idioti non cambiano mai idea.

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