Libano: fantasie idealiste, realismo necessario

Uri Avnery, nato ad Hannover nel 1924, è emigrato in Palestina nel 1933, all’avvento del nazismo. Dal 1938 al 1942 è stato membro dell’Irgun (Organizzazione Nazionale Militare), struttura di estrema destra comandata da Menachem Begin e responsabile di alcuni attentati terroristici contro l'”occupante” britannico (che era potenza mandataria della Lega delle Nazioni) ma anche contro i nemici arabi. Non condividendo questo secondo orientamento, il giovane Avnery lasciò l’Irgun nel 1942. Nel 1948 ha combattuto nell’Haganah, divenuto in seguito Esercito di Difesa israeliano (IDF). Ha fondato la prima organizzazione politica israelo-palestinese, la PLP (Progressive List for Peace), che ha rappresentato per tre legislature alla Knesset, il parlamento israeliano. Già redattore capo del settimanale Haolam Hazeh, dirige oggi Gush Shalom (Blocco pacifista), organizzazione impegnata nell’opposizione democratica e nel dialogo col popolo palestinese. Più volte boicottato e censurato, Avnery continua ad essere uno dei pacifisti più attivi e discussi all’interno dello stato ebraico.

Avnery ha recentemente pubblicato un articolo in cui descrive la situazione libanese alla luce della composita struttura sociale di quel paese. La conclusione di tale analisi è una forte critica ad alcune semplicistiche prescrizioni “occidentali”, relative all’importazione di meccanismi democratici in paesi da sempre caratterizzati da un’organizzazione sociale segmentata su basi etniche e religiose che rappresentano altrettante “linee di faglia”, per usare la celebre espressione di Samuel Huntington. Scrive Avnery:

Much nonsense is being spoken and written about that country, as if it were a country like any other. George W. Bush talks about “Lebanese democracy” as if there were such a thing, others speak about the “parliamentary majority” and “minority factions”‘ about the need for “national unity” to uphold “national independence”, as if they were talking about the Netherlands or Finland. All these have no connection with Lebanese reality.

Geographically, Lebanon is a torn country, and there lies a part of the secret of its beauty. Snow-covered mountain chains, green valleys, picturesque villages, beautiful sea-shore. But Lebanon is also torn socially. The two schisms are inter-connected: in the course of history, persecuted minorities from all over the region sought refuge between its mountains, where they could defend themselves. The result: a large number of big and small communities, ready to spring to arms at any moment. At best, Lebanon is a loose federation of mutually suspicious communities, at worst a battlefield of feuding groups which hate each other’s guts. The annals of Lebanon are full of civil wars and horrible massacres. Many times, this or that community called in foreign enemies to assist it against its neighbors. Between the communities, there are no permanent alliances. One day, communities A and B get together to fight community C. The next day, B and C fight against A. Moreover, there are sub-communities, which more than once have been known to make an alliance with an opposing community against their own.

Un mosaico etnico-religioso di grande fascino, ma anche molto pericoloso, ove si pensi che ogni comunità mantiene una propria milizia armata, equipaggiata con le armi più moderne. L’esercito ufficiale libanese (quello che negli originari intendimenti onusiani avrebbe dovuto disarmare Hezbollah), composto da uomini di tutte le comunità, è incapace di compiere quasivoglia missione.

Ma cosa è la “comunità” libanese? E’ soprattutto qualcosa di natura religiosa, ma non solo. La comunità è anche un’organizzazione tribale su base etnica, con alcuni attributi nazionali. Un ebreo, secondo Avnery, riesce facilmente a comprendere ciò, perchè gli ebrei sono una comunità del genere, solo diffusa e dispersa nel mondo. Ma per un europeo o un americano è difficile comprendere una tale struttura. E’ più facile pensare ad una “nazione libanese” che in realtà esiste sono nell’immaginazione o in una futuristica e futuribile visione idealista.

La lealtà alla comunità viene prima di ogni altra lealtà, e certamente prima di ogni lealtà al Libano. Quando i diritti di una comunità o subcomunità sono minacciati, i suoi membri si sollevano per distruggere la minaccia. Le principali comunità sono la cristiana, la sunnita, la sciita e la drusa (che, semplificando, è una variante estrema dello sciismo). I cristiani sono ulteriormente suddivisi in parecchie sotto-comunità, la più importante delle quali è la Maronita, dal nome di un santo vissuto 1600 anni fa. I Sunniti vennero portati in Libano dagli allora dominatori (sunniti) Ottomani per rafforzare il proprio controllo sulla regione, e furono insediati soprattutto nelle grandi città portuali. Gli Sciiti, la cui importanza è cresciuta negli ultimi decenni, sono stati per secoli la comunità più povera e bistrattata del crogiolo libanese.

Come in quasi tutte le società arabe la Hamula, o famiglia estesa, ha un ruolo vitale in tutte le comunità. La lealtà verso la Hamula precede anche la lealtà verso la comunità, secondo il vecchio motto arabo che dice: “Con mio cugino contro lo straniero, con mio fratello contro mio cugino”. Quasi tutti i leader libanesi sono capi delle grandi famiglie. Per dare un’idea del groviglio libanese, alcuni recenti esempi: nella guerra civile scoppiata nel 1975 Pierre Gemayel, capo di una famiglia cristiano-maronita, invitò i siriani a invadere il Libano per aiutarlo contro i suoi vicini sunniti, che stavano per attaccarne il territorio. Il suo omonimo nipote, assassinato qualche settimana fa, era membro di di una coalizione il cui obiettivo era la liquidazione dell’influenza siriana in Libano. I sunniti, che stavano combattendo contro siriani e cristiani, sono ora alleati dei cristiani contro i siriani.

La famiglia Gemayel è stata la principale alleata di Ariel Sharon, quando l’israeliano invase il Libano nel 1982. Il comune obiettivo era l’espulsione dei palestinesi, in larga prevalenza sunniti. A quel fine, gli uomini di Gemayel compirono il massacro di Sabra e Chatila, dopo l’assassinio di Bashir Gemayel, zio dell’uomo assassinato lo scorso novembre. Il massacro di Sabra e Chatila venne supervisionato da Elie Hobeika dal tetto del quartier generale del comandante israeliano Amos Yaron. In seguito, Hobeika divenne ministro sotto gli auspici siriani. Un altro responsabile del massacro fu Samir Geagea, l’unico ad essere processato in un’aula di tribunale libanese, e condannato a molti anni di carcere prima di essere graziato. Il mese scorso Geagea è stato uno dei principali oratori al funerale del giovane Pierre Gemayel.

Nel 1982 gli sciiti salutarono l’invasione israeliana con fiori, riso e dolci. Alcuni mesi dopo, essi iniziarono una guerriglia antisraeliana durata 18 anni, nel corso della quale Hezbollah è divenuta una delle principali forze libanesi. Uno dei principali combattenti contro i siriani durante la guerra civile libanese, il generale cristiano maronita Michel Aoun, è ora il principale alleato dei filosiriani Hezbollah. Continua Avnery:

In such a reality, using the term “democracy” is, of course, a joke. By agreement, the government of the country is divided between the communities. The president is always a Maronite, the prime minister a Sunni, the speaker of the parliament a Shiite. The same applies to all positions in the country, at all levels: a member of a community cannot aspire to a position suited to his talents if it “belongs” to another community. Almost all citizens vote according to family affiliation. A Druze voter, for example, has no chance of overthrowing Walid Jumblat, whose family has ruled the Druze community for 500 years at least (and whose father was murdered by the Syrians.) He doles out all the jobs “belonging” to his community.

The Lebanese parliament is a senate of community chiefs, who divide the spoils between them. The “democratic coalition” which was put in power by the Americans after the murder of the Sunni Prime Minister Rafik Hariri, is a temporary alliance of the Maronite, Sunni and Druze chiefs.
The “opposition”, which enjoys Syrian patronage, is composed of the Shiites and one Maronite faction. The wheel can turn at a moment’s notice, when other alliances are formed
.

Hizbullah, which appears to Israelis as an extension of Iran and Syria, is first of all a Shiite movement that strives to obtain for its community a larger part of the Lebanese pie, as indeed is its due in accordance with its size. Hassan Nasrallah – who is also the scion of an important family – has his eyes on the government in Beirut, not on the mosques in Jerusalem.

Tutti gli sforzi per rimuovere l’influenza siriana dal Libano sono destinati al fallimento. Basta guardare una carta geografica per rendersene conto. Storicamente, il Libano è parte della terra di Siria: Sham, in arabo. Lavorare per il bilanciamento e la stabilizzazione (in altri termini, per la reciproca neutralizzazione) delle fazioni libanesi, per evitare che gli esclusi facciano ricorso a patronage d’oltreconfine dovrebbe essere un imperativo della diplomazia statunitense, oltre che nello stesso interesse di Israele, in attesa che venga il giorno del negoziato con la Siria. Come già accadde con l’Egitto prima della firma del trattato di pace che resiste ancora oggi, malgrado tutto. Dal Sinai al Golan, per il governo di Gerusalemme il percorso sembra realisticamente obbligato.

Ecco perché occorre riflettere sulle condizioni di contesto etnico, sociale e religioso prima di lanciarsi in missioni di “esportazione della democrazia”. Che sono certamente delle splendide idealità, ma che sono viziate alla radice da un semplicismo culturale che rischia d’intralciare l’azione delle amministrazioni statunitensi. I tempi sono mutati, il perseguimento dei propri interessi nazionali non consente più agli americani di insediare in giro per il mondo dei regimi autoritari. Ma questa constatazione non deve far propendere per avventure destinate a risolversi in bagni di sangue e drammatiche erosioni della capacità negoziale statunitense. Esiste ampio spazio per l’idealismo wilsoniano, ma un check realista appare il prerequisito necessario per promuovere i valori nei quali crediamo, e questa è una contraddizione solo apparente.

Tutto il resto è solo chiacchiera e tifo da stadio. In una parola, ignoranza.

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