Circa 200 paia di scarpe, importate dall’Unione Europea, sono state bruciate ad Hangzou, nella provincia cinese orientale di Zhejiang, dopo che il locale funzionario che supervisiona il funzionamento dei mercati (sic) ha segnalato che tali scarpe (prodotti originali appartenenti a griffes quali Strada, Clarks, Dolce&Gabbana, Trussardi e Boomerang) hanno fallito non meglio precisati test di qualità. Secondo il responsabile del servizio telefonico che raccoglie le proteste dei consumatori cinesi (anche loro ne hanno uno), indossare simili difettose calzature rischia di compromettere la deambulazione dei cinesi, provocando loro danni di varia natura, soprattutto alle caviglie.
E’ ovviamente solo una coincidenza che la qualità delle scarpe europee importate in Cina sia drasticamente peggiorata alcune settimane dopo l’entrata in vigore dei dazi dell’Ue sull’importazione di scarpe cinesi, con l’introduzione di una tariffa pari al 16.5 per cento e destinata a restare in vigore per due anni, che ha finora determinato un crollo del 66 per cento nell’export calzaturiero cinese verso l’Europa.
Mentre c’è da rallegrarsi per lo sviluppo di una simile sensibilità consumerista anche in un paese che ha fatto dell’export di prodotti contraffatti di pessima qualità e spesso nocivi per la salute dei consumatori uno dei pilastri della propria crescita, non possiamo non constatare come queste vicende siano il frutto avvelenato della politica di miope protezionismo adottata dall’Unione Europea. A maggior ragione in quanto il tumultuoso sviluppo della classe media cinese rende quel mercato molto interessante per prodotti che godono di un rilevante brand name, dove cioè l’industria italiana possiede un buon posizionamento competitivo, come testimonia il crescente numero di negozi Prada e Gucci aperti nel paese asiatico. Infatti, le scarpe importate e distrutte per ritorsione commerciale (in quella che appare come una classica barriera non-tariffaria) erano poste in vendita a prezzi compresi tra 1500 e 2500 yuan (tra 150 e 240 euro), e non erano quindi destinate al mercato mass-retail.
Si chiama specializzazione e divisione del lavoro, ma a Bruxelles (e a Roma) non sembrano averlo ancora capito.