C’era una volta…”un re”! Diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un giovane fascista, che rifletteva su libertà, eguaglianza e fraternità:
“Il relativismo storicistico ha distrutto l’assoluto trascendente, ha ridotto gli uomini a camere senza finestre, monadi incomunicabili senza scambi tra loro… Eppure è proprio da questa condizione spirituale, che tutti ormai avvertiamo sorpassata ed estranea al nostro intimo, che sentiamo risorgere in noi quella visione dell’Assoluto che ci conduce alla spiegazione della genesi delle monadi, frazioni affaticate in un continuo processo di ritorno verso l’Unità che pur vive in ciascuna di esse. La passata generazione, ancora sotto il diretto impulso dell’afflato superumano gettato dal cantore di Zarathustra, ha concepito la vita come volontà di potenza, eterno slancio di autosuperamento… La nostra ansia non si acqueta nella contemplazione egoistica d’un mondo individuale, ma solo ove sia in noi la certezza che l’individuo muore per rinascere a qualche cosa di più alto e più grande. Fate che ciò a cui l’individuo muore e ciò in cui rivive e rinasce sia la Nazione e avrete la Religione della Patria” (Eugenio Scalfari, Roma Fascista, periodico del Guf – Gruppo universitari fascisti, 11 giugno 1942)
“Oggi, mentre sembra che Sua Maestà la Massa (come la definì il Duce in un lontano giorno), mascherata da veli più o meno adeguati, tenti di riprendere il suo trono, è necessario riporre l’accento nell’elemento diseguaglianza, che il fascismo ha posto come cardine della sua Dottrina… Soltanto la diseguaglianza può portarci all’aristocrazia” (Eugenio Scalfari, “Aristocrazia”, Roma Fascista, 16 luglio 1942)
“Gli imperi moderni quali siamo noi, li concepiamo e sono basati sul cardine ”Razza”, escludendo pertanto l’estensione della cittadinanza da parte dello stato nucleo alle altre genti”. (Eugenio Scalfari, Roma Fascista, 24 settembre 1942)
Tra le fonti di ispirazione di Scalfari è possibile identificare il conte Clemente Solaro della Margarita, nobile piemontese di tendenze reazionarie, acerrimo nemico del liberalismo cavouriano:
“Io sono certamente nemico a tutte le teorie che, insegnando agli uomini soltanto i loro diritti, tendono a far che pongano in non cale i loro doveri; a quelle teorie che scompigliano la società coi nomi di libertà, di eguaglianza, che tolgono alle autorità legittime, ai Sovrani specialmente e alla nobile aristocrazia, il lustro, il prestigio e la forza, che creano nuovi desideri e nuovi bisogni per rendere i popoli inquieti ed infelici”. (Clemente Solaro della Margarita, in Intervento in risposta del discorso dell’Onorevolissimo Presidente del Consiglio [Cavour], Parlamento Regio, Torino, 1854)
(Nel suo intervento Cavour aveva parlato di “libertà individuale” come diritto che “precede qualsiasi dovere se non l’amore di Patria”. Solaro lo interrompe 4 volte urlando dal suo seggio e poi chiede la parola inorridito e proferisce quelle parole.)
“Il popolo è nelle mani di chi lo governa : se è buono, in poco tempo è facile corromperlo; se è perverso con un po’ d’arte e di fermezza gli si fa cambiare natura. Ma per formare un popolo, per plasmarlo e inquadrarlo, occorre premunirlo e difenderlo bene contro il veleno delle idee cattive: esorcizzare il demone della Rivoluzione, recidere i tentacoli del mostro demagogico prima che abbiano avuto il tempo di far presa”. (Clemente Solaro della Margarita, Memorandum, Torino, 1851)
Per “Rivoluzione” Solaro qui intende l’introduzione dello Statuto albertino del 1848 – ch’egli avverserà per tutta la vita – e più in generale la teoria del juste milieu di Cavour: liberalismo conservatore (via di mezzo tra il conservatorismo reazionario di Solaro e il repubblicanesimo socialisteggiante di Mazzini e, più tardi, Garibaldi).
La visione di Solaro sul popolo e il suo rapporto col potere è incredibilmente simile a quella di Scalfari:
“Qui non si tratta di confrontare opinioni e uscirne avendo ciascuno conservato la propria. Qui si tratta di dare a Cesare non il consolato ma la dittatura. Per salvare la res pubblica dallo sfarinamento e dal dominio delle lobbies.”(Eugenio Scalfari, Repubblica, 27 dicembre 2006)
“Il consenso è anch’esso liquido, specie in società liquide. Lo puoi perdere quando somministri una medicina amara ma necessaria per curare una malattia grave; ma speri di riconquistarlo se sopraggiunge la guarigione. Salvo nel caso in cui l’ammalato si sia affezionato alla sua malattia e conviva benissimo con essa, sicché prende in uggia le medicine e ancor più i medici.
In Italia questo rischio è reale. Da sempre. In parte per colpa di cattivi medici, in altra parte perché gli ammalati hanno pochissima voglia di guarire. Ho esaminato varie volte questo problema, perciò non starò a ripetermi. Basti ricordare che questo nostro Paese ha un fondo anarcoide per il quale le medicine, vale a dire le regole, sono vincoli contro natura. Ognuno vuole curarsi da sé, arrangiarsi da sé, salvo dare la colpa al medico se la sua condizione peggiora. (Ho già detto ma lo ripeto che i medici portano una parte notevole di responsabilità).” (Eugenio Scalfari, Repubblica, 7 gennaio 2007)
Chi è, al dunque, Eugenio Scalfari? Un aristocratico reazionario che da oltre mezzo secolo coltiva un sogno, quello del partito-stato “aristocratico e proletario”, che altro non è che la reincarnazione del giacobinismo: le élites al potere col consenso delle masse:
“La Sinistra non solo è diversa nella sua sensibilità morale, ma è considerata diversa anche da chi non è di Sinistra. La sua diversità dovuta alle ragioni e alle motivazioni di appartenenza è dunque un dato di fatto. […] Quel modo di sentire “diverso” rispetto ai temi della moralità pubblica, dell’austerità del vivere, dei valori della solidarietà e dell’eguaglianza, dovrebbero anche essere patrimonio dei cattolici. Di quelli veri e non di quelli che si fanno il “nomedelpadre” baciandosi le dita e poi crogiolandosi nel sistematico malaffare. Ce ne sono pochi di cattolici veri e sono anch’essi diversi” (Eugenio Scalfari, Repubblica, 8 gennaio 2006)