Il pacco di pasta

Avvicinandosi la data della prossima tornata amministrativa, il governo Prodi è impegnatissimo a studiare la pioggia di mance che andranno a rinfrescare i siccitosi portafogli dei contribuenti italiani, dopo la grande spremuta fiscale del 2006. E’ così iniziato il florilegio di dichiarazioni sul taglio Ici per le famiglie numerose e/o economicamente disagiate, e su nuovi tax break a vantaggio dei contribuenti con imponibile superiore a 40.000 euro, i ricchi fatti piangere in questi mesi di (s)governo. E’ la redistribuzione del tesoretto da 37 miliardi di euro di gettito fiscale extra che Visco, con fulminea conversione sulla via delle urne elettorali ha già definito “in larga parte strutturale”.

Quel gettito extra, frutto della elevata elasticità della struttura fiscale italiana al prodotto interno lordo, anziché utilizzato in riduzioni di aliquote, verrà puntualmente dilapidato in una pioggia di micro-benefici clientelari ammantati della solita mistica della socialità, esattamente come accaduto nel 2001 con la demagogica eliminazione dei ticket sui farmaci attuata dal governo Amato poche settimane prima delle elezioni di maggio.

Ma l’Ici non era l’intoccabile tassa di “proprietà” dei comuni italiani, quella che serviva a riscaldare gli asili ed a illuminare la pubblica via? E come pensa il governo di finanziarne effettivamente il taglio? L’inquietudine serpeggia all’Anci, l’associazione dei comuni italiani, da sempre egemonizzata dalla sinistra. “Il governo vuole ridurre o cancellare l’Ici sulla prima casa? I Comuni sono contenti. Di più: perché non abolirla anche sulla seconda casa?”, chiede Fabio Sturani, tra il provocatorio e l’ironico. Il sindaco di Ancona, che è anche responsabile dell’area finanza dell’Anci, è meno ironico quando si riferisce alla modalità del dibattito in corso nella maggioranza.

“Di questi temi bisognerebbe parlare a un tavolo e non sulla stampa. E il tavolo istituzionale, chiesto dall’Anci andava aperto già da qualche giorno perché i Comuni hanno predisposto i bilanci che, per legge, vanno approvati entro il 31 marzo”. Si fa serio, Sturani, quando puntualizza: sia chiaro, quelle per l’Ici devono essere risorse aggiuntive

“…E non devono andare a intaccare i bilanci dei Comuni già stremati dalla Finanziaria 2007. Se il governo vuole ridurre o dare un contributo e agevolazioni ad alcune classi sociali, siamo contenti. Se poi il governo dice di abolire l’Ici sulla prima casa, io dico anche sulla seconda, perché no. A condizione che ci siano le risorse”.

Sturani ha un’altra precisazione all’indirizzo del governo: non venga chiesto ai Comuni di ampliare le detrazioni dietro garanzia che saranno rimborsati.

“Prima vogliamo vedere le risorse che il governo mette a disposizione, altrimenti diventa ingestibile per i Comuni. Per cui quando diciamo discutiamone insieme e troviamo un tavolo comune non è perché vogliamo impicciarci delle scelte politiche del governo (e non sarebbe male) ma perché serve fare un po’ di chiarezza preliminare”.

Posizione assai diversa, questa di Sturani, dal fantasioso “obbedisco” del sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, che tempo addietro era arrivato a teorizzare a Ballarò che l’aumento delle addizionali comunali fosse “inevitabile”, perché il governo Berlusconi (toh, sempre lui, il nuovo Belzebù!) le aveva bloccate negli ultimi due anni. Come se le tasse fossero qualcosa di equiparabile alla carriera in magistratura, destinate a progredire col semplice trascorrere del tempo.

Come finirà, è ampiamente prevedibile: un pacco di pasta elettorale, e via verso nuove avventure ed avventurismi. Sempre sperando che la congiuntura internazionale regga, cosa tutt’altro che certa, e che la forte diminuzione della produzione industriale italiana registrata in gennaio, peggiore della media di Eurolandia, sia solo rumore statistico.

Nel frattempo a Milano Letizia Moratti, tra la costernazione degli esponenti del centrosinistra, ha annunciato la diminuzione, finanziata con risorse proprie, dell’Ici. Il bilancio comunale prevede la riduzione dell’Ici dal 5 al 4,7 per mille, altre detrazioni, e l’azzeramento della stessa tassa sull’abitazione per 100 mila famiglie. Moratti ha anche aggiunto che a Milano, per servizi pubblici, si spendono 372 euro pro capite, contro 435 a Torino, 516 a Roma, 617 a Napoli. Nello stesso tempo “i milanesi contribuiscono al bilancio dello stato con 5 miliardi 768 milioni di euro, che sono qualcosa come il 10 per cento del Pil, mentre hanno di ritorno dallo stato 834 milioni di euro”. In tema di infrastrutture, Moratti afferma che l’investimento milanese pro-capite è stato di 612 euro, contro 1 solo euro a Napoli.

La spiegazione di questi numeri è semplice: oggi in Italia abbiamo un patto di stabilità interno che è non meno stupido di quello bruxellese poiché, nella sua ragionieristica ottusità, non distingue tra spese in conto capitale e spese correnti. Non riuscendo a comprimere la componente parassitaria della spesa corrente, quella che foraggia clientele grandi e piccole, il conto viene pagato dalla dotazione infrastrutturale delle nostre città. Nessun governo, men che meno l’attuale, che fa della “sensibilità sociale” (cioè della spesa pubblica improduttiva) la propria cifra clientelare, ha intenzione di riscrivere il patto di stabilità, e il paese continua a trotterellare gaio verso il terzo mondo.

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