L’Avvocatura dello Stato ha depositato mercoledì un secondo ricorso alla Corte Costituzionale per la violazione del segreto di Stato da parte della magistratura di Milano nel procedimento sul rapimento dell’ex imam Abu Omar. Nel ricorso, in particolare, l’Avvocatura chiede l’annullamento dell’ordinanza di rinvio a giudizio emessa dal gup di Milano Caterina Interlandi il 16 febbraio scorso, a carico di 33 indagati, tra cui l’ex direttore del Sismi Nicolò Pollari e di 26 agenti della Cia. Già il 14 febbraio scorso, l’Avvocatura aveva depositato presso la cancelleria della Corte Costituzionale un ricorso sulla questione dei limiti del segreto di Stato, il cui esame di ammissibilità sarà svolto il 18 aprile prossimo in camera di consiglio. Se i giudici della Consulta dovessero dichiarare ammissibile il ricorso, l’esame nel merito della questione avverrà dopo qualche tempo.
Nei ricorsi alla Consulta, secondo quanto si è appreso, il governo sostiene che la magistratura di Milano, nell’indagare sul sequestro di Abu Omar, avrebbe violato il segreto di Stato intercettando i telefoni cellulari di 180 agenti del Sismi e svelando l’identità di 85 spie italiane e straniere; avrebbe utilizzato integralmente un documento sequestrato nell’ufficio romano del Sismi gestito da Pio Pompa nonostante il Servizio segreto militare avesse già trasmesso lo stesso documento con alcuni passaggi oscurati perché riservati e dunque coperti dal segreto di Stato. Violando l’identità di 85 agenti e acquisendo elementi riguardanti la struttura del Sismi con agenti segreti stranieri, la procura di Milano (ma a questo punto anche il gup che ha disposto il rinvio a giudizio) ha violato – secondo il governo Prodi – il principio di leale collaborazione tra poteri. Prima conseguenza di questi atti è la sospensione della richiesta di estradizione dei 26 agenti Cia da parte del ministero della Giustizia italiano, in attesa del pronunciamento della Corte costituzionale.
Come avevamo già segnalato in occasione del primo ricorso governativo per conflitto di attribuzione, il governo Prodi pare avere finalmente acquisito il principio in base al quale far gestire la politica estera alla magistratura è cosa piuttosto pericolosa e nociva per le alleanze internazionali del Paese, a prescindere da chi è l’inquilino pro-tempore della Casa Bianca. Tutto bene, quindi? Il governo Prodi e la sua maggioranza marciano compatti come un sol uomo? C’è bisogno di chiederlo? A riprova, basta leggere il testo dell’interpellanza presentata al Senato dai rifondatori comunisti Russo Spena e Caprili all’indomani della risoluzione del Parlamento Europeo (noto sfogatoio della sinistra parolaia italica) sulle operazioni di “extraordinary rendition” della Cia in Europa occidentale. Lo scorso 20 febbraio, cioè sei giorni dopo la presentazione del primo ricorso governativo alla Corte costituzionale, Caprili e Russo Spena chiedevano
(…) se il Governo italiano intenda procedere, o meno, alla richiesta di estradizione dei 26 agenti Cia rinviati a giudizio, insieme al Generale Pollari e di altri 6 cittadini italiani, per il reato di sequestro di persona legato alla vicenda Abu Omar;
I due interpellanti hanno finora ottenuto due esaurienti risposte dal governo, sotto forma di altrettanti ricorsi alla Consulta. Che faranno i nostri eroi comunisti? Esprimeranno disagio, dissenso o dissociazione? E se si, come? Diranno che il governo ricorre alla Consulta “not in their name” e usciranno dalla maggioranza, mandando a casa Prodi? O, viceversa, adotteranno la “linea afghana”, trasformandosi in afasiche scimmiette che non vedono e non sentono che i nostri soldati sono impegnati in combattimento? Se così fosse, Romano Prodi avrebbe davanti a sé altri quattro anni di tranquillo comando della sua sgangherata barca. I culi di pietra comunisti, felicemente dissociati dalla realtà, potrebbero continuare ad ululare alla luna i loro princìpi “senza se e senza ma”, e Prodi vedrebbe confermata la sua ormai celebre valutazione sul “folklore comunista“. Attendiamo gli sviluppi.