Compagnia di bandiera. Bianca

Nel 2006 Alitalia ha registrato una perdita ante imposte di 405 milioni, in peggioramento di circa 261 milioni rispetto al 2005. Ma il cda della compagnia di bandiera non perde l’ottimismo (beati loro) e, dopo aver esaminato il budget 2007 e le previsioni per i primi 4 mesi dell’anno in corso riesce a intravvedere una “proiezione in miglioramento dell’attività industriale nei confronti del 2006“, che le consente di ritenere di poter conseguire nel 2007 un risultato operativo in miglioramento rispetto a quello del 2006. Tale risultato potrà addirittura divenire positivo con il realizzarsi di alcune “operazioni straordinarie previste in budget“, operazioni che restano al momento congelate in attesa dell’esito della procedura di gara per la privatizzazione.

Nel frattempo, le cordate che avevano manifestato interesse alla privatizzazione stanno iniziando a mostrare crescenti perplessità sull’operazione. Ad esempio, Carlo De Benedetti, in gara con la sua società di venture capital Mercati & Capitali, lamenta addirittura l’impossibilità di avviare un’attività di due diligence (cioè di revisione) sui conti di Alitalia, elemento fondamentale per determinare il prezzo di offerta. Il problema principale sembra essere proprio il criterio di valorizzazione di alcune poste patrimoniali, in primo luogo quello della flotta, sulla quale da settimane si rincorrevano insistenti voci sul rischio di pesanti svalutazioni che, sommate alle perdite, avrebbero potuto imporre una ricapitalizzazione nel momento più inopportuno, durante la gara per la cessione ai privati del controllo della compagnia, sancendo l’implosione finale non solo della “privatizzazione”, ma anche dell’azienda. Invece il cda ha preferito far finta di nulla, affermando di “non poter procedere” (si noti il verbo) ad una svalutazione del valore in bilancio degli asset aziendali.

La soglia di perdite da non superare è di 432 milioni (cioè un terzo del capitale): secondo il creativo cda di Alitalia se il risultato negativo a fine anno dovesse essere peggiore, senza svalutazioni, anche considerando le stime più pessimistiche, la compagnia dovrebbe riuscire ad evitare la ricapitalizzazione utilizzando risorse disponibili per 158 milioni. Di fronte a simili giochetti delle tre carte è difficile immaginare che esista qualcuno disposto a metter mano al portafogli. Anche la società statunitense di private equity Texas Pacific Group potrebbe sfilarsi dall’operazione, per il sopraggiunto interesse ad acquisire un vettore in salute come la spagnola Iberia.

Giunti a questo punto del processo di fantomatica “privatizzazione” di Alitalia, sul quale nel frattempo sembrano essersi spenti i riflettori dei mezzi d’informazione, dopo i trionfalismi dei mesi scorsi sul “governo che decide e privatizza“, e le abituali topiche di qualche tuttologo in servizio permanente effettivo, appare invece sempre più probabile un hard landing contro la dura realtà. Che potrebbe sostanziarsi in una riapertura dei termini della gara a condizioni ben più realistiche, riconoscendo cioè che Alitalia genera perdite e brucia cassa dalle attività operative. Come avevamo già evidenziato, anziché tentare di vendere il Colosseo agli investitori istituzionali, il governo avrebbe dovuto prendere atto dell’enorme badwill (avviamento negativo) contenuto in Alitalia, e regolarsi di conseguenza. Così non è stato, si è sfidata la legge di gravità ed il senso comune (oltre che il mercato) ed ora si deve correre ai ripari.

Ma il cda di Alitalia, ben consapevole di quanto stressante possa essere il mestiere di governare, si affretta a rassicurare i nostri prodi privatizzatori. Alitalia ha ancora liquidità in pancia:

“Dalle analisi finanziarie prospettiche sviluppate alla luce delle richiamate assunzioni contenute nel budget 2007 e dalle previsioni relative al primo trimestre 2008”, emerge “come i livelli della liquidità siano sufficienti alla copertura dei fabbisogni generati dalla gestione operativa e finanziaria per un arco temporale di ben oltre 12 mesi a partire da fine marzo”.

Tranquilli, dunque: non ammoderniamo la flotta, non facciamo investimenti ma stipendi e interessi passivi sul debito sono salvi ancora per un annetto. Nel frattempo voi però pensate a qualche soluzione, intesi?

Le reazioni dei ministri del polifonico governo Prodi appaiono nel solco della tradizione. Da un lato il titolare dei trasporti, il comunista Alessandro Bianchi, che sembra non stracciarsi le vesti per il possibile disimpegno di De Benedetti, e preferisce reiterare il mantra degli “interessi generali”, che non è chiaro in cosa consistano se non forse nella manomorta delle tredici sigle sindacali che infestano la nostra compagnia di bandiera. Dall’altro, un pragmatico Antonio Di Pietro apre alle richieste di chiarezza degli investitori istituzionali, soprattutto in tema di valutazioni di bilancio, e si dice disposto (ma parlando a che titolo?) ad inserire nel pricing di Alitalia anche una clausola di salvaguardia basata sulla due diligence:

“Una verifica della contabilità con una clausola può essere una soluzione di trasparenza. Dovendo fare un progetto industriale che dia al Paese la possibilità di avere una compagnia di bandiera ancora efficiente la due diligence permetterebbe di controllare i conti e, personalmente, ritengo che una verifica della contabilità con una clausola possa essere una soluzione di trasparenza.”

Sappiamo quello che state pensando. In un mondo razionale la verifica contabile sarebbe preliminare e funzionale alla determinazione del prezzo di offerta, e non sarebbe necessario l’intervento a titolo personale di un ministro per rassicurare i potenziali acquirenti. Ma l’Italia unionista non è propriamente un mondo razionale, ed i potenziali acquirenti devono preliminarmente pensare ad un prezzo e solo dopo sperare di vedere i libri contabili. Come dite? Che in questo modo non ci sarà nessun potenziale acquirente? Potreste aver ragione, in effetti…

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