Da qualche tempo gli indicatori economici italiani non sono più così brillanti. Dapprima il dato di gennaio sulla produzione industriale, pubblicato lo scorso 12 marzo, con una flessione mensile dell’1.4 per cento, peggiore delle attese, e la revisione al ribasso dell’incremento di dicembre, da 2 a 1.4 per cento. Poi la forte contrazione degli ordinativi industriali, sempre di gennaio, pari al 2.1 per cento mensile, contro attese per una flessione contenuta nello 0.5 per cento, ed anche qui con il ridimensionamento del dato di dicembre, da più 0.7 ad uno striminzito più 0.3 per cento. Oggi, il dato della survey sulle vendite al dettaglio di Eurolandia in marzo, con il nostro paese fanalino di coda ed addirittura con livelli di attività in contrazione pur con lo stimolo di maggiori sconti, a sacrificio dei margini lordi.
Malgrado la crescita dell’occupazione, la spesa dei consumatori resta il grande malato dell’economia italiana. E non potrebbe essere altrimenti, visto l’aumento di pressione fiscale gentilmente offerto dalla Finanziaria 2007. A ciò aggiungete un sistema distributivo ancora frammentato e scarsamente competitivo, con una filiera inaccettabilmente lunga, soprattutto in agricoltura, e avrete il risultato finale.
Ad oggi, non vi è nulla di strutturale nella crescita italiana: essa appare semplicemente beneficiata dalla forte espansione globale e, in Europa, dalla vigorosa ripresa tedesca. Un modello di crescita puramente congiunturale, basato sull’export, esposto alla concorrenza globalizzata, destinato ad interrompersi in modo brusco al primo rallentamento internazionale. La produttività resta stagnante, i nodi della specializzazione in settori maturi e del costo del lavoro elevato rispetto ad essi sono ancora tutti sul tappeto. Qualcuno tra voi ha sentito parlare di riforma della contrattazione collettiva, di decentramento settoriale e territoriale, di incremento della quota di remunerazione legata ai risultati d’impresa? Ne dubitiamo, ma certamente avrete sentito parlare di partito democratico, grande centro, riformisti versus riformatori, “equilibri avanzati” e via discettando.
Questa “crescita” è un esempio da manuale della miopia e dell’irresponsabilità della nostra classe politica, che si accapiglia sul presunto “tesoretto” fiscale da “restituire” ai contribuenti, ai quali è stato futilmente sottratto nei mesi scorsi. Una classe politica che in larga misura considera socialmente riprovevole puntare sulla crescita economica e sul fisiologico aumento di diseguaglianza che essa implica, preferendo affidarsi alla tranquillizzante ricetta neopauperista della mitologica “redistribuzione senza crescita”, figlia legittima del nostro corporativismo malato, e che ci sta condannando al declino.
Post pubblicato su l’Occidentale