di Mario Seminerio
Uno degli effetti perversi prodotti dalla disponibilità agostana di tempo libero e connessione internet è rappresentato dal masochismo che ci spinge a continuare a leggere le omelie domenicali del Superuomo. Quella di oggi tratta della crisi finanziaria innescata dai mutui subprime statunitensi. Ora, non è il caso di analizzare l’intero scritto di Scalfari. Alcuni passaggi costituiscono una descrizione abbastanza fedele delle dinamiche in atto. Ma, dal titolo alle prescrizioni interventiste, tutto il resto è l’abituale sbobba dove l’ideologia irrancidita del nostro ossimorico “liberale di sinistra” si esprime al meglio. Una premessa: noi non siamo in grado, al momento in cui scriviamo, di prevedere l’esatta portata e durata di questa crisi. Resta la riflessione di fondo del susseguirsi, da almeno un decennio, di crisi finanziarie ed interventi di salvataggio da parte delle banche centrali che non fanno altro che gonfiare gli aggregati monetari, ponendo le basi per successive bolle. Occorrerà, ad evidenza, che i policymakers delle banche centrali si interroghino su questa alternanza infernale di salvataggi ed azzardo morale che alimenta ulteriori salvataggi e nuovi azzardi morali. Quello che vorremmo solo segnalare, a beneficio di Scalfari e dei lettori, è che il paragone con il 1929 c’entra come i cavoli a merenda.
Allora, la crisi venne esacerbata dall’azione restrittiva della Fed e dall’inasprimento fiscale attuato dall’Amministrazione Hoover, una miscela esplosiva perfetta per mandare l’economia in depressione. Sorvoliamo su quello che accadde dopo: i piani di salvataggio di FDR si risolsero nell’allungamento dei tempi di uscita dalla depressione anche se, per la vulgata ufficiale, affermare ciò equivale a proferire una blasfemia durante una funzione religiosa. Tralasciamo pure le canoniche citazioni di John Kenneth Galbraith: un giorno qualcuno dovrà prendersi la briga di spiegare a Scalfari che gli Stati Uniti hanno regalato al mondo legioni di economisti, di tutti gli orientamenti, e che non sarebbe male studiarsene altri che non siano Galbraith. Tralasciamo anche l’abituale tendenza di Scalfari a precipitare tutti i temi “alti” in beghe del cortile governativo italiano, tendenza probabilmente esacerbata dall’età.
Omettiamo anche la buffa contabilità scalfariana, secondo il quale il “bisogno di sicurezza” spingerà i risparmiatori italiani a strapparsi di mano Bot e Cct, facendo scendere i rendimenti; una teoria assolutamente singolare, che trascura di considerare che il rallentamento della crescita implica una caduta di gettito fiscale, abitualmente ben maggiore del risparmio sulla spesa per interessi indotta dal calo dei rendimenti. Di più: in un contesto mondiale di avversione al rischio, gli asset più rischiosi tendono a scontare un aumento del premio al rischio, cioè un aumento del tasso d’interesse richiesto per acquistare tali titoli. Qualcuno ha fatto notare a Scalfari che il differenziale tra Btp ed il Bund tedesco decennale è aumentata da 20 a 30 punti-base, dall’inizio delle turbolenze finanziarie? Si, qualcuno che segnala ciò esiste eccome: ed è la persona che, da qualche tempo, rappresenta il bersaglio preferito della polemica scalfariana: Francesco Giavazzi, spesso apostrofato dal Padre Fondatore come un economista estremista liberale. Accusa che torna nel paragrafo più demenziale della già abbastanza sgarrupata omelia scalfariana. Si parla di fondi pensione:
“Si è fatto un gran can-can da parte della “setta” degli economisti liberali perché il collocamento del Tfr nei fondi non era stato sufficientemente incoraggiato dal governo. Era una menzogna e il risultato delle sottoscrizioni lo dimostra. Ma ora ci sarà chi rimpiangerà, tra i pensionandi che hanno scelto la previdenza complementare, di non aver versato i propri Tfr ai fondi aziendali gestiti dai sindacati o addirittura di non aver conservato il vecchio sistema della previdenza pubblica dell’Inps. Gli investimenti arrischiati di alcuni fondi – pensione americani ci dicono che anche la via della previdenza alternativa non è cosparsa di rose e fiori e che il mercato non è mai stato e mai sarà il paese di Bengodi se non per i pochi che possono manovrarlo a danno dei molti.”
Beh, qui abbiamo proprio l’imbarazzo della scelta. Allora: i pensionandi difficilmente hanno scelto la previdenza complementare, almeno se con “pensionandi” intendiamo coloro che sono prossimi alla pensione, e questo per banali considerazioni statistiche ed attuariali. Ma dove Scalfari tocca lo zenit è nel passaggio in cui parla di rimpianto dei lavoratori per non aver versato “i propri Tfr ai fondi aziendali gestiti dai sindacati”. Ora, qui la domanda, deferente e timorosa, sorge spontanea: Scalfari, ma che sta scrivendo? Lei ha una pallida idea di cosa è un fondo pensione aziendale, e di quali sono i ruoli in seno ad esso? Si direbbe di no, quindi riepiloghiamo il concetto: i fondi pensione negoziali o contrattuali sono istituiti attraverso contratti collettivi, anche aziendali, promossi dai sindacati dei lavoratori e dai datori di lavoro. In questo contesto, le parti sociali sono i soggetti promotori o sponsor del fondo pensione. Sindacati e datori di lavoro siedono nei consigli di amministrazione dei fondi pensione, ma non hanno alcun ruolo nella gestione, delegata ad un gestore finanziario professionale. Da ciò discende che la frase di Scalfari è un non senso assoluto: i sindacati non gestiscono alcunché, promuovono l’istituzione dei fondi pensione e stop. E’ del tutto privo di senso realizzare, come fa Scalfari, una scala di rischiosità dei fondi pensione crescente nel passaggio da sistema pubblico a privato. La rischiosità dei fondi pensione dipende dalla loro asset allocation, cioè dalla scelta degli investimenti. Prendete Cometa e Fonchim, gli storici fondi pensione negoziali dei lavoratori metalmeccanici e chimici. Tali fondi sono multicomparto, cioè hanno linee d’investimento monetarie, obbligazionarie, bilanciate ed azionarie, a rischiosità ovviamente crescente all’aumentare del contenuto azionario della linea scelta.
Ma sapete com’è fatto, il Padre Fondatore: sono almeno dieci anni che ad ogni crisi finanziaria scrive di ritorno del 1929, e propone sempre le sue ricette cervellotiche e di piccolissimo cabotaggio politico. Forse dedicarsi ai nipotini in modo più assiduo sarebbe una funzione di ben più elevata utilità sociale.
(© Libero Mercato)