Poco più di due anni addietro abbiamo dato conto dell’operazione finanziaria imbastita dal diessino Filippo Penati, presidente della Provincia di Milano ed ex sindaco di Sesto San Giovanni, la leggendaria “Stalingrado d’Italia”. La Provincia, già azionista di controllo dell’autostrada Milano-Serravalle con il 36 per cento decise, all’epoca, di rilevare un altro 15 per cento, per raggiungere la maggioranza assoluta ed ottenere l’effetto collaterale di estromettere dal controllo della società il Comune di Milano dell’odiato rivale Gabriele Albertini. Penati chiese ed ottenne un prestito di 238 milioni di euro da Banca Intesa, e concluse l’affare con il costruttore Marcellino Gavio. A distanza di due anni, che è stato di quella bislacca operazione? Ce lo racconta un articolo di Laura Maragnani per Panorama.
Prima di addentrarci nei dettagli, giova sapere che nulla è cambiato, rispetto all’epoca della transazione. La Provincia continua ad essere azionista di maggioranza assoluta della Serravalle, e continua a pagare interessi passivi a Intesa, nel frattempo diventata Intesa Sanpaolo. Nessuna quota di minoranza è stata ricollocata in borsa, contrariamente ai proclami dell’ex insegnante di applicazioni tecniche ed ex agente Unipol, Penati. Che nelle scorse settimane è stato protagonista di una querelle tutta progressista con Giulio Sapelli, docente di storia economica alla Statale di Milano ed iscritto all’ex Pci dal lontano 1979, una invidiabile collezione di gettoni nei consigli di amministrazione dei principali centri del potere economico italiano (da Eni a Ferrovie a Monte Paschi).
Sapelli, posto a capo dell’Asam, la holding di partecipazioni infrastrutturali della Provincia di Milano, è rapidamente entrato in rotta di collisione con i tre pretoriani posti da Penati a guardia del gioiello della corona: la Serravalle, appunto. Pretoriani sestesi come il loro cesare, e tutti di provata fede progressista: uno di loro, Giordano Vimercati, oggi capo di gabinetto di Penati a Palazzo Isimbardi, era ispettore alle vendite de l’Unità prima di diventare l’ombra dell’allora sindaco di Sesto. Oltre alle biografie, conta rimarcare che il buon Sapelli, appena insediato alla guida dell’Asam, si trova a lottare contro la fantasia contabile degli amministratori della Serravalle, che giungono a far sparire dal conto economico della holding 3 milioni di euro di interessi passivi pagati a Intesa. Come dire, il falso in bilancio è un’opinione. Sapelli ottiene l’allontanamento del commercialista autore del fantasioso documento contabile. Il quale commercialista, per questa levata d’ingegno e pochi mesi di consulenza esterna, riesce tuttavia ad intascare 300.000 euro di soldi pubblici e riemergere, più abile di Houdini, come membro del collegio sindacale della Serravalle, al modico prezzo di euro 85.000 annui. Anche il conflitto d’interessi è un’ombra sulla caverna, evidentemente.
Ma cosa accade quando la maggioranza assoluta della Serravalle arriva in mano alla democratica provincia meneghina? Che il numero dei suoi consiglieri d’amministrazione lievita da 15 a 21. Perché sapete, una utility è entità talmente complessa da necessitare di più competenze di guida. Solo il meritorio decreto Lanzillotta dello scorso novembre taglia a 6 il numero dei collezionisti di gettoni. Nel frattempo, però, i compensi dei membri del cda triplicano, da 500.000 a 1,5 milioni di euro annui, mentre i membri del collegio sindacale vedono lievitare la loro prebenda da 200.000 a 430.000 euro. Quasi ai livelli dell’Eni, osserva l’autrice dell’articolo. Sono i costi della politica, bellezza. La politica de sinistra. Che sono singolarmente simili a quelli della politica di destra, solo che i primi sono moralmente superiori, e sostenuti per il bene dei cittadini.
La Serravalle, nel frattempo, sembra diventata un forno. Lievita tutto, là dentro: consulenze esterne, dipendenti, costo del lavoro, tasso di assenteismo, interessi passivi corrisposti a Intesa. L’unica cosa che si è sgonfiata è il valore delle azioni Serravalle. Penati pagò a Gavio 8,831 euro per azione; sei mesi dopo, una perizia del Tribunale di Milano valuta quelle stesse azioni 6,58 euro l’una. Fanno 60 milioni di differenza. E’ tornato il lievito progressista, gioite compagni! L’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, un amministratore integerrimo e pedante di quelli che questo paese si sogna, all’epoca della strana scalata di Penati alla Serravalle aveva adombrato la possibilità che questa piccola provvista con annessa plusvalenza potesse essere servita a Gavio per partecipare alla scalata alla Banca Nazionale del Lavoro in cordata con l’Unipol di Giovanni Consorte. Albertini segnalò il suo sospetto anche alla procura di Milano, ma non vi fu seguito. Chissà perché.
Meanwhile, Sapelli ha lasciato la presidenza di Asam. I vertici di Serravalle hanno deliberato la distribuzione di 32,4 milioni di euro di riserve, destinate non a finanziare investimenti ma a turare le voragini di una holding indebitata fino al collo (do you remember Tronchetti Provera?). Penati è riuscito, dopo breve ma intenso mercanteggiamento con la nuovissima “cosa rossa”, a evitare di dover pubblicare su internet i dettagli delle famose consulenze. Trasparente come uno stagno, la giunta Penati.
Una vicenda istruttiva. In primo luogo dell’appeal che le utilities, con i loro imponenti flussi di cassa, esercitano sui politici. Ricordatevi di questo dettaglio quando vi chiederete perché il ddl Lanzillotta non riesce a schiodarsi dalle secche parlamentari. E quando leggerete che l’acqua è un bene pubblico, e tale deve restare. Ma ricordate anche che questo governo ha liberalizzato barbieri ed estetiste, mi raccomando.
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Update: per seguire da vicino le mirabolanti avventure di Penati e della sua “piccola Iri”, consigliata la lettura del blog del consigliere provinciale di opposizione Max Bruschi.