La data di ieri, 30 marzo, ha visto il contemporaneo verificarsi di due eventi che rappresentano altrettante sconfitte per il sistema italiano di trasporto aereo. Il primo è il de-hubbing di Malpensa ad opera di Alitalia che, con l’entrata in vigore dell’orario estivo, ha cancellato 14 dei suoi 17 voli intercontinentali giornalieri, con tutto quello che ciò implica per lo scalo varesino in termini occupazionali diretti e indotti, oltre a circa 6 milioni di passeggeri in meno l’anno, 70 milioni di euro in meno nella casse della Sea e un danno per l’economia lombarda stimato da un’analisi dello Studio Ambrosetti in 15 miliardi di euro. Ma il 30 marzo è anche la storica data dell’entrata in vigore dell’accordo Open Skies, che consente alle linee aeree europee di trasportare passeggeri da e verso qualsiasi destinazione negli Stati Uniti e in Europa, oltre a poter stabilire i propri prezzi senza subire controlli governativi.
Si tratta del primo passo verso un mercato unico del trasporto aereo tra Europa e Stati Uniti senza restrizioni sui servizi aerei, incluso il pieno accesso al mercato domestico di entrambe le zone: a questo fine, dal prossimo maggio la Commissione Europea avvierà la seconda fase di negoziati con gli Stati Uniti. E Alitalia resta a guardare, per manifesta carenza di mezzi. L’avvio di Open Skies permette anche qualche riflessione sulle condizioni poste da Air France-KLM per acquisire Alitalia. Il gruppo franco-olandese ha espressamente posto come condizione sospensiva della sua offerta d’acquisto, oltre all’accordo con i sindacati, “il rilascio di un impegno scritto da parte della competente autorità governativa di mantenere il portafoglio attuale dei diritti di traffico di Alitalia”. In pratica, Air France vuole bloccare tutti gli attuali diritti di traffico del nostro vettore nazionale, inclusi quelli che non intende utilizzare. Dietro questa mossa si cela l’ovvia l’esigenza di evitare di subire erosioni di traffico passeggeri sugli hub di Fiumicino, Parigi e Amsterdam. Come evidenziato da Andrea Boitani su lavoce.info questa condizione (che ostacolerebbe gravemente il rilancio di Malpensa) difficilmente potrebbe reggere alla negoziazione, da parte della Commissione Europea, di altri accordi open skies dopo quello con gli Stati Uniti entrato in vigore ieri. Certo, i tempi non sarebbero rapidissimi, ed AF-KLM potrebbe nel frattempo metabolizzare l’acquisizione di Alitalia senza pregiudizio per le proprie quote di mercato.
Ciò non toglie che questo sia l’aspetto meno accettabile del tentativo di acquisizione della compagnia di bandiera italiana. AF-KLM starebbe in sostanza tentando di comprare anche una robusta protezione dalla concorrenza, l’asset intangibile di gran lunga più importante nel pacchetto-Alitalia. Ma dobbiamo convenire con Boitani: questi sono i frutti avvelenati del drammatico crollo del residuo valore economico di Alitalia, causato dalla barocca procedura di vendita allestita dal governo Prodi. La vicenda Alitalia rappresenta plasticamente il declino del nostro sistema-paese e a nulla (se non a danneggiare ulteriormente la credibilità internazionale dell’Italia e del suo mercato azionario) servono i proclami di Silvio Berlusconi sulla fantomatica cordata italiana pronta a disvelarsi dal 14 aprile. Berlusconi nei giorni scorsi ha scoperto con raccapriccio che non di merger of equals si tratterebbe, bensì di “svendita”. Certo, è piuttosto difficile immaginare una fusione tra pari in cui uno dei due partner brucia cassa per 3 milioni di euro al giorno mentre l’altro ha una florida redditività, ma l’economia non è mai stata il punto di forza dei nostri politici, inclusi quelli che sono stati imprenditori per una vita.
La verità è che Alitalia è stata sgovernata dall’incuria dei governi che si sono succeduti negli ultimi lustri, e sempre sotto dettatura sindacale. La stessa “privatizzazione” attuata dal governo Berlusconi, col Tesoro sceso al 49,9 per cento, è servita ad introdurre in Alitalia la cassa integrazione a spese dei contribuenti, senza nessuna seria azione di rilancio strategico, ad esempio con individuazione di valide ipotesi di partenariato internazionale. Il tutto per non disturbare gli interessi sindacali e politici su Alitalia e Malpensa. Date le premesse, l’esito non poteva che essere questo. La vicenda Alitalia è l’implacabile atto d’accusa contro un’intera “classe dirigente”: governo e opposizione (presenti e passate), sindacati, management. Le lamentazioni sull’attuale valore economico prossimo a zero, con annesso stupro del patrio orgoglio, sono solo il frusto alibi di un paese piagato dal corporativismo.