Ha vinto il Popolo della Libertà. Anzi no, ha vinto la Lega Nord. Il PdL è risultato la sostanziale sommatoria del peso elettorale di Forza Italia e Alleanza Nazionale, mentre il Carroccio incassa il risultato di una profonda e radicata incazzatura del Nord, la ormai celebre “questione settentrionale” che il presidente Napolitano considera “retorica futile e dannosa”. Alla Lega ora chiediamo di dimostrare nei fatti che il federalismo non è la prosecuzione dello statalismo con altri mezzi.
Ha perso la sinistra radicale col suo ditino levato, i suoi niet ed i suoi sociologismi onirici, e che ora si interroga sulla propria capacità di “ascoltare il paese”. Ma è solo un attimo, tranquilli: la colpa è della “torsione bipolare” (verbatim) della dialettica politica che la vecchia cariatide Russo Spena imputa ai due principali raggruppamenti. Oppure è di Veltroni (Rina Gagliardi) che “ha consegnato il paese alla destra” per non aver perseverato nel vecchio tic del “nessun nemico a sinistra”. Se la colpa non fosse altrui, che sinistra sarebbe? Allora, permetteteci un inciso: viva la faccia di Veltroni. La sua è stata la miglior rupture a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Ora però non si fermi, vada avanti: la storia lo guarda, e potrebbe ricordarlo come l’uomo che ha obliterato i comunisti e fatto diventare adulta la sinistra italiana. Sempre che lo lascino proseguire, s’intende. Ha vinto Tonino il questurino, incassando il premio grillesco del forcaiolismo spicciolo e l’endorsement di Marco Travaglio, prima e dopo la consultazione elettorale. La furiosa analisi travagliesca del voto andava più correttamente intitolata “pagherete caro, pagherete tutto”. Ma anche così, è egualmente inquietante.
La “lista pazza” di Giuliano Ferrara era polvere, e polvere è ritornata. Meglio così, e lo diciamo da difensori di una legge 194 da applicare in modo meno burocraticamente distratto. A Ferrara un consiglio: gli psicoterapeuti bravi fanno miracoli, anche per i sensi di colpa più soverchianti.
Ha perso Casini, e la sua democristianità furbesca travestita da rigorismo lamalfiano dell’undicesima ora (ed oltre). Ha perso Boselli, e forse ora Bobo Craxi dovrà trovarsi un lavoro, anche se ne dubitiamo. Il porcellum ci ha inopinatamente regalato una drastica semplificazione del quadro politico, finché dura, e sarebbe forse meglio mettere in sicurezza questo esito approvando in modo bipartisan una nuova legge elettorale, anche per disinnescare le manovre finalizzate a delegittimare il risultato di ieri, che arriveranno molto prima dell’approssimarsi del referendum Guzzetta, la prossima primavera.
Sfortunatamente, neppure questa elezione ci ha liberati di Paolo Mieli, che ieraticamente ci spiega che lui aveva già capito e previsto tutto. Non è vero, naturalmente, ma se nessuno lo confuta lui prosegue inesorabilmente a costruire scenari farlocchi, come la marmotta che incarta la cioccolata.
Berlusconi ha vinto, ora deve governare e tentare di cambiare l’Italia. Auspicabilmente suggerendo a Tremonti di non indugiare nei suoi proverbiali “io l’avevo detto”, nei quali si è esibito ad libitum anche ieri sera a Matrix, inclusa polemica nemmeno troppo velata con Draghi, esponente (a suo giudizio) di quella casta di apprendisti stregoni che ha perso il controllo della globalizzazione. Ecco, esiste un grande rischio, a nostro modo di vedere: che, di fronte alle prime difficoltà sulla strada del risanamento e del rilancio, Tremonti torni a intonare la canzoncina: è colpa dell’euro, dell’euro cartaceo, di Goldman Sachs, dei cinesi, degli indiani e del destino cinico e baro, povca tvoia, povca puttana. E’ stato lui, maestra, io non c’entro. A Berlusconi va dato atto e merito di aver commentato il risultato elettorale in modo molto sobrio, richiamando nuovamente le difficoltà che attendono il suo esecutivo. Forse l’esperienza conta qualcosa, anche per lui.
E ora, che la legislatura s’inizi. E che il cielo ci aiuti, in caso.