*Post aggiornato con gli ultimi sviluppi sul prestito-ponte del governo italiano
Tra i francesi che s’incazzano e i giornali che svolazzano, Air France ha dichiarato decaduta la propria proposta condizionata, per mancato verificarsi delle condizioni preliminari richieste e per l’ulteriore deterioramento del quadro economico di Alitalia. Di questa grottesca vicenda abbiamo scritto fino alla nausea: il governo Prodi ha commesso l’errore esiziale di perdere 20 mesi per un’asta tanto impropria quanto irrealistica, e così facendo ha annichilito il residuo valore economico del nostro vettore. Berlusconi sembra aver poi messo l’ultimo chiodo alla bara di Alitalia, con il fuoco di sbarramento sul no ad un’acquisizione che si sarebbe configurata come un vulnus al patrio orgoglio, e sì ad un merger of equals che, dati i conti di Alitalia, avrebbe certificato la presenza di problemi psichiatrici nel compratore. E ora?
La stampa parla di prestito-ponte da parte del governo uscente “a condizioni di mercato”. Ma qui sorgono i primi conundrum, come direbbe Greenspan. Quali sono le “condizioni di mercato” per un’azienda tecnicamente fallita? E, ammesso e non concesso che esistano, perché dovrebbe essere il governo italiano e non un pool di banche a concedere il finanziamento? Forse perché non esiste nessuna condizione di mercato, ed il prestito si configurerebbe come aiuto di stato? Ecco, così suona meglio.
Ora attendiamo fiduciosi quella cordata patriottica vagheggiata da Silvio Berlusconi. Magari tanto patriottica da avere come player dominante Aeroflot o Lufthansa. E non converrebbe neppure illudersi troppo: ieri Enrico Salza, abitualmente silente, ha rotto la sua inconsapevolezza delle segrete cose di IntesaSanpaolo solo per enunciare una banalità assoluta: se il deal è interessante (i.e. c’è da fare soldi), noi partecipiamo. Ciò non significa che ci sia qualcuno realmente disposto a metterci un chip. Neppure fedelissimi del Cavaliere come Ennio Doris.
Le campate del prestito-ponte, da cui si spenzolano in queste ore politici e sindacalisti, sarebbero l’ultimo alibi per mungere denaro dei contribuenti. Buon ultimo ad invocare questo salvagente è il ministro delle Infrastrutture in pectore, Altero Matteoli, che ha pure difeso l’operato di Berlusconi sulla vicenda: “Ha avuto il merito di aver detto che Alitalia non andava svenduta”. Ma quando un’azienda ha un capitale economico negativo, a cosa corrisponderebbe esattamente una “svendita”?
Delle due l’una: o da qualche parte in questa vicenda è nascosto un coniglio gigante che si accinge ad uscire dal cilindro, oppure siamo di fronte ad una prova collettiva di cialtroneria da parte della nostra classe “dirigente”. Tenderemmo ad accreditare la seconda ipotesi, ma forse siamo troppo negativi.
UPDATE: Gli italiani si confermano popolo dotato di una fantasia inarrivabile. Dove gli altri mettono le norme, gli italiani mettono l’interpretazione delle medesime. Dove esiste un divieto agli aiuti di stato, il governo italiano (intendendo con tale dizione quello uscente e quello entrante) giustifica l’aiuto di stato invocando motivi di ordine pubblico. Trecento milioni di euro di soldi dei contribuenti, travestiti da improbabile finanziamento a cui sarà applicato un tasso di interesse “nella misura prevista dalla specifica disciplina comunitaria” (ma a quanto ammonta lo spread sull’euribor per un debitore tecnicamente fallito?), da rimborsare entro il 31 dicembre. Ora c’è solo da augurarsi che i competitor di Alitalia sfidino questa furbata davanti alla Ue, per la stessa credibilità del futuro della competizione europea, e del benessere che essa porta ai cittadini consumatori, checché ne pensino alcuni ottusi protezionisti di casa nostra. A parte ciò, da domani inizia la sfida di Silvio Berlusconi, l’uomo del tricolore che giura e spergiura di non voler mettere le mani nelle tasche dei contribuenti italiani.