Oggi è il Tremonti-day, il giorno dell’audizione del ministro sul Dpef. E il Nostro ha pienamente corrisposto alle attese. L’andamento delle entrate fa escludere l’esistenza di tesoretti, ha affermato il ministro dell’Economia, e pensiamo abbia ragione da vendere. Affidiamo quindi alla storia questa orribile parola e questo demenziale concetto, figli dell’ormai acquisito analfabetismo economico di ampia parte della sinistra. Tra qualche mese leggeremo su Repubblica e dintorni che il gettito fiscale cala non per la crisi economica bensì perché l’attuale governo strizza l’occhio agli evasori, e qualcuno vorrà riportare Prodi alla guida del Pd, dopo il ritorno di Lippi in nazionale. Non curatevi di costoro, ma guardate e passate. Ma Tremonti ha detto anche altro.
In coerenza col suo nuovo ruolo retorico di critico delle imprese, “beneficiate dai regali della sinistra”, il Nostro se la prende con la manovra del governo Prodi, che ha ridotto l’aliquota nominale Ires dal 33 al 27,5 per cento, e intravvede in questa misura delle “criticità di copertura”. E’ strano, visto che a noi risultava che la manovra sull’Ires avrebbe prodotto, nel primo triennio di applicazione, un incremento di gettito stimabile nell’ordine di 1,5 miliardi di euro. Ma Tremonti, che di contabilità creativa è da sempre indiscusso maestro, oggi afferma il contrario, perché parlare male delle imprese è very pop anche se non indossate cachemire: vi basta avere la erre moscia. Però qualcuno dovrebbe spiegare al ministro, nei ritagli di tempo, che oggi è in atto una competizione globale a ridurre le aliquote nominali sulla tassazione d’impresa, per favorire l’investimento diretto estero. E’ vero che questo per l’Italia è un trascurabile dettaglio, visto il deficit infrastrutturale e di legalità che da sempre caratterizza, assieme ad una burocrazia demenziale, il nostro paese. Aggiungeremmo che l’investimento diretto estero avrà certamente avuto modo di apprendere una lezione istruttiva dal caso-Alitalia.
Sulla Robin Hood Tax, il capolavoro del populismo tremontiano, il ministro esclude che ci sia stata una traslazione sull’utenza della tassa, ma che se ciò dovesse avvenire, “aumenterebbe la tassazione in modo da scoraggiarli”. Tremonti punta decisamente al Nobel, ci pare di capire: se una tassa incide soprattutto i consumatori e non i produttori (visto che la curva di domanda di breve periodo dei prodotti energetici è anelastica) proviamo ad inasprirla per tutelare i consumatori medesimi. Deve essere un principio omeopatico.
Tremonti ha parlato poi del pubblico impiego, affermando che “abbiamo i soldi per finanziare un buon contratto”. Immediata risposta del ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta che segnala come, negli ultimi 15 anni, le dinamiche salariali del pubblico impiego siano risultate doppie dell’inflazione effettiva. Restiamo in attesa di capire cosa significa, per Tremonti, “un buon contratto”. Il ministro dell’Economia torna poi sulla crisi economica e promette prima dell’estate (ma non ci siamo già, in estate?) un impegno redistributivo in favore dei redditi delle famiglie e dei pensionati, ma solo se c’è “sviluppo e ricchezza”. Tautologico, non trovate? Se entro l’estate ci sarà sviluppo e ricchezza da redistribuire va bene, sennò, care famiglie e pensionati, sappiate che Tremonti soffre e lotta insieme a voi. Contro la speculazione, per la quale il ministro vorrebbe addirittura attivare l’articolo 81 del Trattato di Roma sulle manipolazioni di mercato. Non c’è niente da fare, non è la domanda dei paesi emergenti, è “la speculazione”. Tremonti, tuttavia, è più smart di quanto si sforzi di apparire in pubblico, ed infatti sul tema poco dopo aggiunge: “Se c’è un travaso di ricchezza dall’Europa verso il resto, la cosa da fare è almeno quello di avere una reazione contro la speculazione“. La prima parte della frase è di un realismo encomiabile, la seconda sono effetti speciali per non fare incazzare troppo la gente. Secondo noi, quest’ultima misura si rivelerà inefficace quando Tremonti dirà “bambole, non c’è un euro, colpa della speculazione”, ma accettiamo scommesse.
Ciliegina sulla torta, la riesumazione della vecchia polemica tremontiana contro Mario Draghi e la Banca d’Italia:
“Nel 2007 la Banca d’Italia diceva che la crisi finanziaria globale era solo un turbamento. Ancora nella relazione la si considerava quasi superata e priva di ogni impatto sull’economia reale. Prendiamo atto della conversione di tutte queste posizioni sulle nostre. Sappiamo bene che i redditi sono oggetto di un’erosione ma sappiamo anche che questo dipende dalla speculazione.”
Aridaje. Riguardo la posizione di Bankitalia sui mercati finanziari dello scorso anno (espressa dal governatore durante le audizioni per il Dpef), essa è giunta pressoché contestualmente all’inizio delle turbolenze sul mercato americano. Né ci risulta che Draghi abbia mai minimizzato gli effetti e la portata della crisi, soprattutto da inizio anno. Per quanto l’ufficio studi di via Nazionale possa essere competente, fino a pochi mesi fa questa era la posizione pressoché univoca di governi e banche centrali. Sappiamo che Tremonti ha capito tutto da sempre (dopo aver inventato le cartolarizzazioni pubbliche), ma le entità meno sovrannaturali di lui si basano “solo” su modelli econometrici di scenario.
Dopo tutto, che avesse forse ragione Capezzone, quando definiva Tremonti il mago Do Nascimiento?