La Russia sta subendo un forte drenaggio di riserve valutarie, e questo deflusso potrebbe minare la stabilità faticosamente accumulata in quasi un decennio. Le riserve internazionali di Mosca, le terze per consistenza dopo quelle cinesi e giapponesi, sono diminuite dallo scorso 8 agosto di 123 miliardi di dollari, pari al 21 per cento, mentre la banca centrale sta cercando di sostenere il rublo e l’economia del paese. Il presidente Dmitry Medvedev ha promesso oltre 200 miliardi di dollari di tagli d’imposte, prestiti governativi ed altre misure per sostenere la crescita, minacciata dal crollo delle quotazioni del greggio e dalla fuga degli investitori. Il deflusso di valute aumenta la probabilità che la banca centrale, che la scorsa settimana ha segnalato la propria volontà di indebolire gradualmente il cambio del rublo, possa smettere di sostenere la propria valuta.
L’accumulazione di riserve valutarie è stata perseguita negli ultimi dieci anni dal ministro delle Finanze, Alexei Kudrin, col supporto dell’allora presidente ed oggi primo ministro Vladimir Putin, come strategia per evitare default sul proprio debito, come accaduto durante la crisi del 1998. Le riserve valutarie, che includono fondi petroliferi che agiscono esclusivamente come cuscinetto di sicurezza per il bilancio, erano pari a 475 miliardi di dollari al 7 novembre.
Durante la crisi del 1998 le riserve scesero a 12,3 miliardi di dollari, anche a causa della difesa disperata e controproducente del cambio del rublo, minato dalla forte espansione della spesa pubblica dopo la caduta del comunismo, attuata dall’allora presidente Boris Yeltsin. I prestiti di emergenza da parte del Fondo Monetario Internazionale non riuscirono ad impedire il default della Russia su 40 miliardi di dollari di debito domestico. La produzione industriale crollò e molte banche fallirono. L’economia si contrasse per i successivi cinque trimestri, tra il 1998 e l’inizio del 1999, spingendo molti russi a ricordare con nostalgia il ritorno alla “stabilità” del totalitarismo. Oggi, la situazione è diversa: il paese possiede “sostanziali riserve valutarie”, che lo hanno finora protetto da più gravi consequenze durante l’attuale crisi, come ha scritto la Banca Mondiale in un rapporto pubblicato ieri, sottolineando anche che la stabilizzazione macroeconomica deve essere la priorità immediata mentre le autorità continuano ad adeguare le risposte di policy di breve termine alle mutevoli circostanze economiche.
La fuga di capitali è aumentata in parallelo al calo degli introiti da gas e petrolio, le principali fonti di export del paese. Il rublo si è deprezzato del 17 per cento contro dollaro. L’ansia degli investitori riguardo la crisi finanziaria è stata esacerbata dalla guerra tra Russia e Georgia, in agosto, e dal calo del 67 per cento del greggio Ural, il maggior contributore all’export russo. La banca centrale russa ha speso in settembre ed ottobre un totale di 57,5 miliardi di dollari per difendere il rublo. La Russia detiene il 45 per cento delle proprie riserve valutarie in dollari, 44 per cento in euro, 10 per cento in sterline ed 1 per cento in yen, secondo gli ultimi dati, aggiornati all’1 novembre. La banca centrale ha anche ridotto, da 65,6 a 20,9 miliardi di dollari, il proprio stock di titoli Freddie Mac e Fannie Mae.
Secondo Kudrin, il calo degli introiti petroliferi non influenzerà in alcun modo l’attuazione del bilancio, perché l’eventuale deficit verrà colmato attingendo al Fondo di Riserva, il fondo petrolifero del paese, che ha una consistenza di 135 miliardi di dollari. Ma questo ottimismo non convince gli analisti, che ritengono che il deflusso di valuta sia destinato a proseguire, nell’attuale situazione. Secondo la Banca Mondiale, la crescita economica russa è prevista rallentare al 3 per cento il prossimo anno, a fronte di un’espansione media del 7 per cento annuo dal 1999. La banca centrale russa stima che il deflusso valutario toccherà quest’anno i 20 miliardi di dollari, contro l’afflusso-record di 82 miliardi di dollari nel 2007. Secondo alcuni analisti, la Russia necessita di almeno 200 miliardi di dollari di riserve per restare in “zona di sicurezza”, ma un’eventuale discesa molto al di sotto degli attuali 500 miliardi metterebbe il paese a rischio di declassamento da parte delle agenzie di rating. Standard&Poors ha già abbassato l’outlook del rating sovrano a negativo, nel timore che il pacchetto di misure fiscali possa eccedere i 200 miliardi di dollari.
La banca centrale, lo scorso 11 novembre, ha permesso una svalutazione dell’1 per cento del rublo contro il basket dollaro-euro di riferimento, ed alzato i tassi d’interesse, mossa che tuttavia alimenta gli attacchi speculativi contro la divisa, accentuando il deflusso di capitali. Per questo motivo, lo scenario più probabile è quello di una serie di svalutazioni successive del rublo, fino a giungere ad un regime di cambio flessibile. Circostanza che non sarebbe necessariamente negativa, perché la fatturazione in dollari dell’export energetico consentirebbe, una volta convertito il ricavato in rubli svalutati, di pareggiare il bilancio con maggiore facilità. Al livello attuale di 27 rubli per dollaro, il bilancio del 2009 andrebbe in pareggio con un prezzo medio del greggio Ural a 55 dollari il barile.