Il Consiglio di Stato cinese, organo esecutivo del paese, ha deliberato mercoledì scorso di spendere l’equivalente di 123 miliardi di dollari per istituire entro il 2011 una forma di copertura sanitaria universale per gli 1,3 miliardi di abitanti. E’ comunemente ritenuto che l’altissimo tasso di risparmio cinese derivi da motivazioni precauzionali: il paese, nominalmente comunista, è infatti privo di reti di protezione sociale, e ciò spinge la popolazione a risparmiare per affrontare eventi importanti della vita, come gli studi e soprattutto le spese sanitarie, che possono avere un impatto catastrofico sulle finanze delle famiglie. Il piano prevede la produzione ed erogazione di farmaci, la riorganizzazione del sistema ospedaliero e la copertura sanitaria anche delle aree rurali più remote.
Sgravando le famiglie dall’esigenza di risparmio precauzionale legato alla spesa sanitaria dovrebbe verificarsi una progressiva ascesa dei consumi interni, che potrà iniziare a contribuire alla modifica del modello di sviluppo cinese, finora basato sulle esportazioni, e destinato ad entrare in conflitto con lo speculare riequilibrio del modello statunitense, che nei prossimi anni dovrà necessariamente ridurre il grado di leva finanziaria delle famiglie (cioè aumentare il tasso di risparmio), e puntare maggiormente sull’export per compensare la flessione dei consumi. Lentamente, qualcosa si muove. Sperando che la situazione non precipiti per mosse avventate, incomprensibili ed anche prive di fondamento fattuale come quella di dichiarare la Cina un “manipolatore della valuta”.