Il motivo di ciò che abbiamo fatto
di Oscar Giannino – © LiberoMercato
Carissimi lettori, è amaro farlo mentre l’economia domina l’informazione, ma vi devo salutare. Questo è l’ultimo numero di LiberoMercato con foliazione autonoma. Da domani esso viene assorbito organicamente da Libero, e cessa la mia funzione di direttore. Non l’ho scelto io, ma le aziende decidono secondo proprie valutazioni, guardando ai conti, alla situazione generale dell’editoria e della pubblicità, che è quella che è. Ed esprimono anche valutazioni su chi hanno ingaggiato, sul prodotto che ha realizzato e sulla sua omogeneità con lo stile e gli obiettivi della casa. In questo caso, si tratta di me e del mio operato.
Approfitto dei saluto per alcune considerazioni. Sull’informazione economica, per cominciare. Resto tenacemente convinto che i giornali generalisti avrebbero di che guadagnare dedicando all’economia strumenti appositi di approfondimento quotidiano e settimanale, invece che poche pagine nella foliazione di ogni numero, e iniziative speciali per coprire i guai di occupazione e consumi. Certo, c’è la crisi e gli inserzionisti tagliano la pubblicità, e bisogna dunque risparmiare sul possibile. Proprio perché c’è “questa” crisi, però, l’economia e la finanza sono quasi tutto, molto più importanti del bla bla politico e di cronaca che anima il teatrino quotidiano.
Il mondo è attraversato da una pandemia che ha colpito le fondamenta del modello d’intermediazione finanziaria che ha impeversato nell’ultimo ventennio. E’ una crisi del tutto paragonabile a quelle che hanno posto termine ai grandi Imperi, che erano fondati sul predominio di strumenti e modelli economici, prima che sulle armi. Come avvenne alla fine della sterlina e dell’Impero britannico fino all’epilogo del lungo e terrificante conflitto che insanguinò il mondo in due tempi, nella prima metà del secolo scorso, e portò all’impero americano costruito sul dollaro e su Bretton Woods.
So bene che per vendere copie si debbono privilegiare gli aspetti e gli accenti più popolari e immediati, degli spasmi che mandano all’aria banche e imprese, e che tornano a chiedere ai governi interventi impensabili. Ma il compito dell’informazione è anche tentare di spiegare ciò che è più difficile, e cioè le determinanti di lungo periodo di una crisi la cui prima tappa fu l’addio del dollaro alla convertibilità nel 1974, la libera fluttuazione del biglietto verde che da allora tramuta in un problema mondiale i deficit pubblici e della bilancia dei pagamenti americana, problema mondiale di cui la deregulation finanziaria, l’abolizione della distinzione tra banca commerciale e banca d’investimento, e infine la rapida costruzione del circuito America-Far East a sostegno dei reciproci interessi, hanno costituito le successive tappe di sviluppo.
Spiegare innanzitutto questo è ciò che ho cercato di fare sin dal primo giorno in cui nacque LiberoMercato, 22 mesi fa. C’è un ordito generale che spiega il motivo dell’instabilità planetaria prodotta dalla politica monetaria lassista e dal deficit della bilancia dei pagamenti praticati dagli Usa per anni ed anni, e dal trionfo apparente di grandi banche mondiali trasformatesi in piattaforme di trading, per piazzare con utili da vertigine prodotti, servizi e derivati diversi da quelli di pura e semplice copertura del rischio. Derivati la cui distanza era divenuta sempre più siderale da una stima apprezzabile e reale del rischio di controparte per il prenditore, e degli accantonamenti patrimoniali necessari per il prestatore.
Lo spazio per raccontare utilmente tutto questo c’è e continuerà ad esserci, per chi riterrà di averne i mezzi necessari. Significa insistere per tre o quattro anni almeno, prima di tirare le somme. Si spiega così il successo negli anni del gruppo Class, come il senso e l’utilità che hanno conquistato nel tempo i settimanali economici di grandi gruppi editoriali, come Rcs e Repubblica. In caso contrario, bisogna solo augurarsi che ilSole24Ore, il gigante del settore, resti il più aperto e pluralista possibile. ma queste, beninteso, sono solo opinioni di un giornalista, che ora è nelle condizioni di ammettere sinceramente la propria sconfitta, e di chiedere scusa se vi ha deluso. Nel merito, però, difendo quel che abbiamo fatto. Le copie aggiuntive erano venute, parlando in termini concreti, finché non si è iniziato a tagliare. Ora chiudo, ma difendo il punto di vista dal quale dall’esordio ho dichiarato che avremmo svolto in nostro lavoro. Ne ricapitolo i fondamenti, per quanto mi riguarda valgono oggi come per il futuro: la piccola impresa, le banche, lo Stato, la persona.
Mi fermo qui. Ci salutiamo ma non ci parliamo, diceva Voltaire richiesto del suo rapporto con Dio. A voi tutti lettori, un saluto grato con la promessa che continuerò a parlarvi ora non so, ma ad ascoltarvi sempre.
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Ad inizio aprile 2007 ho ricevuto una email, che diceva: “Caro Seminerio, sono Oscar Giannino, e mi permetto di disturbarla perché dal 3 maggio sarà in edicola LiberoMercato, quotidiano economico finanziario dal lunedì al al sabato annesso ma separato rispetto a Libero. Ne sarò direttore, con l’intenzione dichiarata da testata di rompere le scatole ai troppi cartelli, patti di sindacato, interlocking banco-industriali che in effetti dividono tra pochi figli e molti figliastri il mercato italiano. La seguo da tempo, e mi piacerebbe sapere se potesse essere dei nostri. La prego di farsi vivo.” Credo di non violare la privacy di Oscar pubblicando questa email, ma per maggior sicurezza mi scuso con lui se pensasse il contrario. La pubblico perché questa è stata una delle email per me più sorprendenti, nella mia ormai ultraquarantennale “carriera” di suddito italiano.
Un blogger sconosciuto cercato da uno dei più celebri giornalisti italiani per una proposta a cui non era possibile opporre un rifiuto. Non male, per un paese in cui siamo abituati a vedere in ogni ambito (anche e soprattutto in quello dell’informazione) cooptazioni sulla base di criteri i più fantasiosi, non ultimo quello delle “omonimie” patronimiche. Ecco, questa email per me rappresenta Oscar Giannino e il suo desiderio di rischiare, inserendo un signor Nessuno in una squadra di preparati e mediamente giovani professionisti (ne segnalo uno per tutti, Francesco De Dominicis, per i suoi pezzi altamente informati ed informativi sul sistema creditizio italiano). Non è poco.
Giusto per non smentire questo suo segno distintivo, Oscar non ha mai, in alcun caso, esercitato censure sui miei pezzi, neppure su quelli con cui era in palese e manifesto dissenso. I nostri scambi di vedute sono sempre stati per me occasione di arricchimento, umano prima che professionale, e mi hanno spesso indotto a riflettere su alcune mie argomentazioni, rigide prima ancora che rigorose (e la differenza tra i due concetti è sensibile, credetemi). Ci sono stati motivi ed argomenti di dissenso, anche serio. Non sto qui a citarli, i lettori che hanno avuto la pazienza di seguire questo blog nel corso degli anni possono intuire di quali ambiti si tratti. Ma sempre, in ogni circostanza, da Oscar è arrivato lo sprone a non autocensurarmi, e a proporre le mie tesi senza remore. Davvero inconcepibile per un paese come il nostro, in cui tutti teniamo famiglia.
Dal lavoro di Oscar e della sua redazione ho imparato, in questi 22 mesi, soprattutto a capire le ragioni della piccola e media impresa, che in passato mi erano per lo più sfuggite, per il mio bias macro, in economia ed in politica. Per parte mia, ho cercato di dare un piccolo contributo alla “causa” di un liberismo fatto anche e soprattutto del ruolo dello Stato come responsabile della manutenzione della infrastruttura finanziaria di un sistema economico, e in ultima analisi del suo successo o fallimento. Posizione difficile, spesso fraintesa ed accusata di criptocomunismo dagli entusiasti neofiti di un anarco-capitalismo “naturale” che non esiste in natura ma solo in alcune saghe mitologiche, e che spesso rappresenta la cifra stilistica ed esistenziale di giovani, entusiasti ed inconsapevoli blogger. Anche per questo motivo, mi viene spesso da sorridere leggendo gli editoriali acuminati contro il presidente degli Stati Uniti (che può e deve essere criticato, anche aspramente, da un’ottica liberista) scagliati da chi, in questo nostro paese, è da tempo in prima fila ad avallare con argomentazioni a metà tra l’equilibrismo e la caricatura misure di politica economica che definire dirigiste suona come un insulto alla pianificazione statale, quella autentica. Ecco, uno dei meriti di Oscar Giannino è quello di essere liberista convinto ma non dottrinario, oltre che sinceramente aperto al confronto delle idee.
Posso terminare, non prima di essermi congratulato con quanti sono giunti a leggere sin qui. Questo non è il coccodrillo (professionale, s’intende) di Oscar Giannino, che sono certo ritroveremo presto nel suo ruolo di divulgatore ed analista del modo in cui l’economia e la finanza plasmano il nostro mondo e le nostre vite. Questo, a dire il vero, potrebbe essere il coccodrillo delle velleità giornalistiche dello scrivente, ma questa è assai poca cosa, e certo non destinata a lasciare un’impronta nella storia.
A presto rileggerci, direttore.
(M.S.)