La derivata seconda è il profumo della vita

In quello che appare come un editoriale di commiato al Corriere ed ai suoi lettori, Paolo Mieli ritiene di intravvedere una luce in fondo al tunnel della crisi, e motiva il proprio convincimento con una serie di evidenze aneddotiche, tra le quali l’insufficiente spazio espositivo che Fiera Milano è in grado di offrire agli operatori economici in occasione del Salone del Mobile, oppure la performance di borsa di una società scozzese di biotecnologie, un dato peraltro troppo idiosincratico per essere considerato probante di alcunché (in ogni crisi, anche le più severe, vi sono aziende che prosperano).

Ma soprattutto, Mieli vede buone notizie dal fronte dell’occupazione americana:

“In America il numero di persone che chiede sussidi di disoccupazione è da qualche settimana in costante discesa”

Davvero? A noi risultava l’opposto:

“Nella settimana terminata il 28 marzo, la stima destagionalizzata iniziale delle prime richieste di sussidio è stata di 669.000, un aumento di 12.000 unità rispetto al dato rivisto della settimana precedente. La media mobile a quattro settimane è stata di 656.750, un aumento di 6500 sulla media della precedente settimana, pari a 650.250. […] Anche il numero totale di sussidi, pari a 5.728.000, è al massimo storico”

Mieli prosegue citando i prezzi delle materie prime sui contratti futures sulle scadenze ad un anno, quotati al NYMEX, al CBOT ed al LME, che “sono dappertutto più alti”. Frase che va interpretata: tutti i prezzi a termine delle materie prime, in condizioni normali, sono più alti del prezzo spot: è una condizione normale, nota come contango, che considera i costi di finanziamento ed immagazzinamento della posizione. Se invece ci si riferisce alla crescita dei prezzi sulla prima scadenza future, e sullo spot, ad oggi vi è assai poco che suggerisca che possa trattarsi di inversione di tendenza, visti anche i livelli eccezionalmente depressi in precedenza raggiunti dalle quotazioni. Come direbbero i tecnici della materia, non si vedono evidenze conclusive di bottoming. Riguardo i metalli, è innegabile che la Cina sta acquistando aggressivamente, allo stesso modo in cui cerca di bloccare i propri mercati di fornitura, acquisendo quote rilevanti di società minerarie. Ma ancora una volta, non è possibile affermare se si tratti di domanda “genuina”, derivante da svolta congiunturale, e non piuttosto domanda “speculativo-strategica”, derivante dalla ricostituzione degli stock e dal tentativo di crearsi una posizione dominante attraverso integrazione verticale del settore. Anche gli ultimi dati mensili sull’indice dei direttori acquisti della manifattura cinese non sciolgono il dubbio. Di più: il Baltic Dry Index, che misura le tariffe di nolo marittimo, dopo un rally che lo ha risollevato da minimi storici assoluti è tornato a piombare al ribasso.

Mieli cita poi il desiderio di Bank of America di ripagare il Tesoro per i fondi del TARP ricevuti nei mesi scorsi. A dirla tutta, questo desiderio è comune a tutti i big player della finanza americana e non è necessariamente una dato positivo, quanto il verosimile tentativo di disfarsi di una presenza ingombrante in casa propria: non tanto quella della Casa Bianca quanto quella del Congresso, che aizzerebbe un pericoloso populismo mai congeniale alle atmosfere ovattate di Wall Street. Resta poi da capire con che fondi le banche americane rimborseranno gli aiuti pubblici, visto che pensare di raccogliere risorse sul mercato azionario (l’unica opzione “sana” da perseguire) resta ancora un’idea piuttosto stravagante, al momento.

Non vogliamo ovviamente privare Mieli della sua visione ottimistica, che si estende rapidamente (e meno comprensibilmente) dai grandi sistemi economici mondiali al nostro paese, in un’aura di tremontiana palingenesi che tutto avvolge. Vogliamo solo rimarcare alcuni marchiani errori fattuali ed altre interpretazioni da bicchiere mezzo pieno che sconfinano nella manifesta forzatura. Per parte nostra, pensiamo che ad oggi siamo ancora nel regno della “derivata seconda”, cioè non vediamo l’ora di leggere nella riduzione della velocità di caduta dell’economia il segno di una sua successiva stabilizzazione. Se ciò è umanamente comprensibile, considerato che gli agenti economici hanno una psicologia, lo è meno dal punto di vista della realtà. Il rischio prevalente, a nostro avviso, è quello di un’economia globale strutturalmente squilibrata (si pensi solo alla forte espansione monetaria finora adottata), e di una crescita potenziale seriamente ridimensionata. La stabilizzazione prima o poi arriva sempre, non foss’altro che per effetto-confronto sui dodici mesi: anche nelle riprese a forma di L, però.

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