L’Amministrazione Obama sta strutturando le nuove iniziative di bailout in modo da aggirare i vincoli imposti dal Congresso, come quello sui limiti alle retribuzioni dei dirigenti apicali. Ciò avviene creando speciali veicoli d’investimento, che sono i destinatari formali dei fondi federali ed agiscono da intermediari, erogando in un secondo momento i fondi agli effettivi beneficiari del salvataggio. Questa triangolazione viene utilizzata anche (nel caso del TALF) per aggirare i vincoli statutari della Fed, a cui non è consentito di entrare direttamente nel sostegno ai mercati delle carte di credito, dei prestiti auto ed agli studenti. Di fatto, le azioni dell’amministrazione sono mirate a disattivare le richieste congressuali, segnatamente quelle relative ai limiti di retribuzione dei massimi dirigenti ed all’acquisizione di azioni ordinarie nelle istituzioni che ricevono fondi pubblici, per consentire ai contribuenti di partecipare al successivo recupero di redditività.
Tutto è cominciato lo scorso autunno quando Hank Paulson, con una improvvisa giravolta, decise di trasformare il TARP (Troubled Asset Relief Program) in TERP (Troubled Equity Relief Program), costringendo le maggiori banche ed i broker-dealer del paese ad accettare infusioni di fondi pubblici sotto forma di azioni privilegiate, per rafforzarne il capitale Tier 1 (del quale il mercato si disinteressa beatamente, a dire il vero, ma questa è un’altra storia), e non disturbare il banchiere-manovratore, come invece sarebbe avvenuto acquisendo direttamente capitale ordinario con diritto di voto. Paulson fissò la cedola sulle azioni privilegiate al 5 per cento, solo pochi giorni dopo la sottoscrizione da parte di Warren Buffett di identica tipologia di azioni con cedola esattamente doppia, facendosi pure consegnare un congruo pacco di warrant convertibili in azioni ordinarie, con prezzo di esercizio assai prossimo al valore corrente di mercato. Immancabili polemiche contro il povero Paulson, e cambio scena. Arrivano Obama ed il suo Tesoro sguarnito, abitato da Timothy Geithner più due vice, su una pianta organica di venti persone. Grandi proclami, ondata di sdegno contro i bonus, Geithner non c’era e se c’era dormiva, la Fed ammonisce contro misure populistiche che possano creare distorsioni e incentivi perversi ad un sistema evidentemente fino a quel momento perfettamente funzionante e funzionale. Nel frattempo, però, inizia la creazione di veicoli speciali cui destinare i fondi federali in aggiramento dei vincoli del Congresso, mentre Obama si dice furente per i bonus di AIG.
Ora, è vero che viviamo tempi incredibilmente complessi e che occorrono decisioni rapide (o forse no, pena il cedimento all’isteria e ad interessi tanto inconfessabili quanto perfettamente visibili), ma questa azione della Casa Bianca qualche perplessità la suscita, per il tentativo di eludere il sistema di checks and balances fissati dalla costituzione americana. Pare una tendenza emergente nelle democrazie occidentali: insofferenza dell’esecutivo verso qualsiasi forma di controllo esterno di legalità, come ben sappiamo noi italiani, che da qualche tempo siamo alle prese con improvvise ed insopprimibili esigenze di legiferazione rapida e con bislacchi tentativi (sorretti da ancor più bizzarre argomentazioni) di ottenere un’investitura popolare assoluta che somiglia molto allo scardinamento del sistema di garanzie democratiche.
Che esista un trade-off tra efficienza dell’azione governativa e “vincoli democratici” è noto da sempre. Che nell’opinione pubblica ci sia un movimento pendolare nella preferenza tra l’una e gli altri, anche. L’unica cosa su cui occorre vigilare è che la cultura emergenziale non metta radici profonde, stravolgendo l’essenza stessa di democrazia, già piuttosto ammaccata dalla osmosi tra finanza e politica, via accademia. Almeno nei paesi, come gli Usa, dove l’accademia esiste. Altrove, si usano altri metodi.
*La precisazione non servirebbe, ma il titolo è ironico.