Nei giorni scorsi Istat ha segnalato che il tasso di disoccupazione italiana è salito al 7,9 per cento mentre, dal versante dell’occupazione, il primo trimestre del 2009 ha fatto segnare una contrazione del numero di occupati. Immediata l’analitica replica del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, che ha sentenziato che “poteva andare peggio“, che comme d’habitude siamo messi meglio di altri paesi (ma quel dato è fermo al 31 marzo), e che a fine anni Novanta avevamo una disoccupazione al 12 per cento. Beh si, e potremmo anche aggiungere che prima della potabilizzazione dell’acqua e della scoperta della penicillina la mortalità era enormemente superiore a quella dei nostri giorni.
Di fronte a questa rigorosa metodologia, che mescola serie storiche a cross-sections, si pone il problema di una più che probabile accelerazione della distruzione di occupazione, nei prossimi mesi. Che potremmo quindi fare per rompere il termometro della disoccupazione? Semplice: delegittimare la metodologia di rilevazione di quei disfattisti dell’Istat! Tanto, chi ascolta tende a bersi tutto, no? Forse: