Americani, liberisti socializzati

Del piano Obama di riforma sanitaria ci sarà modo e tempo per discutere, dopo il summer recess del Congresso, in quello che si annuncia come uno scontro che potrebbe azzoppare precocemente la Casa Bianca. Per ora, bastino alcune riflessioni: quando un paese ha un’incidenza della spesa sanitaria sul Pil pari al 15 per cento, con un trend in crescita, pare puro buonsenso ritenere di dover “piegare la curva”, auspicabilmente senza fare troppi danni. Ma è istruttivo un aneddoto, ripreso da Paul Krugman, che narra di un cittadino che affronta a brutto muso un deputato (peraltro repubblicano) del South Carolina, al grido “dì al tuo governo di tener giù le mani dal mio Medicare”.

Ora, pare che il Medicare sia un istituto pubblico, un’assicurazione pubblica single-payer, per la precisione; termine che negli americani evoca immagini peggiori della Cortina di Ferro. Ma evidentemente molti americani non lo sanno. I liberisti a stelle e strisce sembrano anche ignorare che il governo federale oggi paga il 47 per cento delle fatture sanitarie, contro il 35 per cento degli assicuratori privati. E se ne comprende il motivo, visto che oggi il sistema è di fatto congegnato in modo che, al crescere degli oneri assicurativi sanitari, un numero crescente di persone escono dalle assicurazioni private, e spetta quindi alle casse pubbliche farsi carico dell’assistenza agli uninsured. Qualcosa su cui riflettere, sperando che Obama e le lobbies sanitarie non facciano troppi danni, in autunno.

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