E alla fine la montagna greca partorì uno scontatissimo topolino. Il discorso con il quale ieri sera il premier greco George Papandreou ha promesso solennemente di ricondurre il rapporto deficit-Pil del suo paese entro il fatidico numero del 3 per cento è stato un non-evento, oltre che molto italiano. La lista delle misure che saranno intraprese sembra fotocopiata da una legge finanziaria del nostro paese, con quella spruzzata di populismo che noi italiani ben conosciamo. Vediamole nel dettagli, tanto sappiamo già chi è il colpevole.
In primo luogo sono previste le tradizionali dismissioni immobiliari, poi tagli alla spesa per la Difesa ed ai costi dei ministeri e della previdenza sociale (ma senza toccare le pensioni, ça va sans dire) del 10 per cento. Congelamento delle retribuzioni nominali più elevate nel settore pubblico (ma per tutti gli altri sono previsti aumenti retributivi reali, del tutto sganciati da valutazioni sulla produttività); né manca il sempreverde blocco del turnover nel pubblico impiego.
Arriva anche una maxi-sovrattassa del 90 per cento sui bonus dei banchieri, che fa fino e non impegna; verrà reintrodotta l’imposta di successione, abolita dal precedente governo, e d’incanto vedrete che in Grecia moriranno solo i poveri. Arriverà poi un’imposta sui capital gains, che funzionando simmetricamente per le minusvalenze creerà un monte Olimpo di crediti d’imposta, in caso i mercati (quello di Atene, nella fattispecie) tornassero a scendere.
Eletto con un programma di sollievo per le masse, fatto di aumenti retributivi e più welfare per tutti per sostenere la domanda interna, il socialista Papandreou ha già detto che la crisi mette a rischio la sovranità greca. Ma la frase non va intesa nel senso di presa di coscienza della necessità di risanare i conti pubblici, bensì di critica preventiva alla possibilità, tutt’altro che remota, che Atene debba chiamare il pronto soccorso del Fondo Monetario Internazionale.
Meglio non pensarci, si sarà detto Papandreou, ed ha subito estratto dal cilindro una solenne lotta contro la corruzione. Dalla nostra esperienza è stata mutuata la regolarizzazione degli immigrati, che dovrebbe supportare la previdenza sociale greca. A differenza dell’Irlanda, non è stato previsto quindi alcun intervento di taglio delle retribuzioni nominali del settore pubblico, mentre riguardo il sistema pensionistico non è stato calendarizzato alcun intervento. Le misure, inoltre, sono solo bozze, e verranno dettagliate col nuovo anno, dopo furioso negoziato con le parti sociali e puntuale annacquamento. Altra sinistra similitudine con il Belpaese è il fatto che la precedente correzione della finanza pubblica greca, negli anni Novanta, è avvenuta con un aumento della pressione fiscale sul Pil pari al 10,4 per cento, ed un taglio delle spese di solo lo 0,5 per cento. Poi ci si chiede perché l’economia cresce in modo frenato.
Un eventuale default greco non è per oggi né per domani, ma i mercati diverranno sempre più nervosi. La Grecia viene da un elevato deficit delle partite correnti sul Pil, causato da un boom dei consumi figlio di tassi d’interesse reali nulli o negativi e da politiche fiscali sempre e comunque espansive. In simili circostanze il problema si risolve con il deprezzamento del cambio e misure di raffreddamento della domanda, per via fiscale e monetaria. La Grecia non ha, ovviamente, leva monetaria, e deve agire attraverso una stretta di bilancio (via tagli di spesa e non aumento di entrate) che causi una deflazione interna, per quanto doloroso ciò possa essere. Tutto il resto sono proclami, ai quali i mercati credono sempre meno, come dimostra la forte corrente di vendite che questa mattina ha colpito i titoli di stato di Atene.