Mentre il senatore del Pdl Nicola Di Girolamo viene scaricato dai colleghi, torna d’attualità quell’obbrobrio noto come voto degli italiani all’estero. E’ di oggi un esaustivo articolo di Paolo Balduzzi e Massimo Bordignon, su lavoce.info, che illustra tutti i cervellotici meccanismi attuati per riconoscere l’elettorato attivo e (soprattutto) passivo anche a gente che non parla italiano e mai ha vissuto entro i patri confini.
Questa legge (lo sappiamo da sempre, ma giova ribadirlo) rappresenta l’immagine speculare dell’assenza di possibilità di voto concessa a stranieri che vivono nel nostro paese, magari da molto tempo: qui pagano le tasse, parlano la nostra lingua, hanno figli che frequentano le nostre scuole. Solo in un paese come l’Italia, che da sempre fa dell’illiberalismo la propria stella polare, si poteva giungere non solo a negare in radice il basilare principio liberale e democratico di “no taxation without representation“, ma addirittura ad affermarne la simmetrica aberrazione di “representation without taxation“.
E’ opportuno lasciare la parola a Balduzzi e Bordignon, trattenendo per l’ennesima volta la nausea:
Il problema fondamentale è che il diritto di voto per gli italiani all’estero garantisce loro una effettiva “representation without taxation”: cittadini che non pagano tasse in Italia e non usufruiscono dei servizi influenzano, con il loro voto, le tasse che gli italiani residenti pagano e i servizi che ricevono. Questo è ancor più vero con la Circoscrizione estero, i cui rappresentanti parlamentari sono essi stessi cittadini non residenti in Italia. La rappresentanza senza tassazione contrasta con un principio fondamentale della democrazia, e se è in qualche modo accettabile per cittadini italiani che sono solo temporaneamente al di fuori dei confini nazionali, lo è di meno per chi ha deciso di vivere stabilmente all’estero e che in qualche caso, non conosce né le istituzioni né la lingua del paese di origine. La cosa è ancora più impressionante se si pensa che viceversa, in Italia vivono e lavorano individui che soffrono di una “tassazione senza rappresentanza”, vale a dire gli stranieri regolari. Secondo il Rapporto Caritas-Migrantes, nel 2007 gli immigrati hanno contribuito al 6,1 per cento del Pil e assicurato un gettito fiscale al nostro paese pari a 3 miliardi e 749 milioni di euro, dei quali 3,1 miliardi per i soli versamenti Irpef.
Curiosamente, il numero degli stranieri residenti in Italia, regolari e maggiorenni, è anch’esso di poco superiore ai tre milioni (dati Istat, 2009). Appare quanto meno singolare che una popolazione così ampia, che vive e lavora onestamente nel nostro paese, non possa esprimere alcun voto, neppure a livello amministrativo, pur essendo soggetta al fisco e usufruendo dei servizi offerti. Si noti che oltretutto vivono in Italia circa mezzo milione di stranieri solo di nome: sono i figli di immigrati, nati o arrivati in tenera età nel nostro paese, che hanno studiato in Italia, ne parlano perfettamente la lingua, e che sono in effetti indistinguibili dai connazionali della stessa età, eccetto che non godono degli stessi diritti. È opportuno che questa asimmetria venga risolta al più presto, accelerando il percorso per l’ottenimento della cittadinanza e dei diritti collegati.
Sfortunatamente il nostro dibattito politico e culturale sull’immigrazione resta pervicacemente bloccato sulla “minaccia islamica”. Difficile progredire, da una simile base. Ora possiamo solo sperare che il parlamento rifletta approfonditamente su questa ennesima porcata, mandando definitivamente in archivio le mal riposte lacrime patriottiche di Mirko Tremaglia.
P.S. Sul tema del voto degli italiani all’estero, e sul demenziale criterio di voto postale, leggi anche nFA.