Il caso Dagospia

Quello che segue è un brano tratto da Eretici digitali, il libro di Massimo Russo e Vittorio Zambardino, in cui si analizza il successo del sito Dagospia, le sue peculiarità e la sua capacità di essere in prevalenza un “aggregatore” che tuttavia fornisce al lettore anche un “valore aggiunto”: una chiave di lettura del potere, italiano e non solo.

La “pasquinata”, tradizionale antidoto popolare e popolano italiano alle élites, lo sberleffo spinto al limite del disprezzo (spesso ben oltre), la capacità di raccordare notizie secondo una pluralità di piani narrativi, che servono sia agli “addetti ai lavori” (o ai livori, come scrive D’Agostino) per marcarsi stretto in questo gioco di umana miseria del “c’era questo, c’era quello”, sia alla “gente comune” (la ‘ggente), per avere ennesima conferma che “tanto sono tutti uguali”, quindi che “è tutto un magna-magna”.

Tra questi piani di lettura spicca la sistematica scarnificazione delle “ideologie”, anche di quelle spicciole e liofilizzate, partorite fuori tempo massimo per coprire con un velo sempre più lacero i circoli viziosi di un potere a somma zero o, nel caso italiano, a somma minore di zero (i poteri marci più che forti, secondo il Dago-lessico). Visto il successo, anche economico, dell’iniziativa, possiamo ben affermare che Dagospia è il saprofita del potere.

La pratica di Dagospia, che consiste nel copiare e incollare, all’interno delle sue pagine, articoli e commenti prelevati dai giornali, senza alcuna autorizzazione da parte di questi, va distinta da altre “usanze” in vigore tra gli utenti internet. Ciò che fa Dagospia non è sua esclusiva: sono in molti a tagliare e incollare i pezzi dei giornali – per esempio piccoli siti o blog che si occupano di sport sono tra i più attivi in questo senso. O anche appassionati di singole questioni, che magari copiano il fondo del direttore o un pezzo di Sofri nella loro pagina di Facebook proprio perché – è il caso più frequente – lo condividono. Ma Dagospia si distingue per due tratti specifici: il grande numero di pezzi copiati e la presenza di pubblicità sulle sue pagine.
Quello di D’Agostino è un sito che, con il prelievo selvaggio dai giornali, ha costruito la parte più significativa e maggioritaria del proprio prodotto. La percentuale di scoop proprietari e di materiali da altre fonti è minima, a differenza di quanto avviene nei siti/blog americani che lo stesso Dagospia prende a modello. Discorso diverso per le fotografie, che sono quasi tutte proprie. Se si tolgono i pezzi dei giornali, a Dagospia rimane davvero poco.
In questo modo – ed è il secondo dato caratterizzante – il sito realizza grandi numeri di audience e su questo dato ha costruito la propria autorevolezza e fonda la propria raccolta pubblicitaria, affidata alla concessionaria del gruppo Tiscali. Si tratta cioè di un’impresa, una Srl che nel 2008 ha fatturato (dati Camera di commercio di Roma) 620mila euro con un utile netto di 156mila.

Nota aggiuntiva sul libro: i capitoli 4, 5 (soprattutto) e 6 dovrebbero essere lettura obbligatoria per chiunque cerchi di capire come funziona davvero il “sistema”. Il case-study di Google è terrific, come direbbero gli americani, ma anche e soprattutto frightening.

Massimo Russo, Vittorio Zambardino
Eretici Digitali
La rete è in pericolo, il giornalismo pure. Come salvarsi con un tradimento e dieci tesi
ApogeoSaggi, 2009

(la discussione continua online)

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