Oste, com’è il vino?

Il presidente della Camera pare aver trovato nuovi compiti per l’Istat: l’emissione di rating su debito sovrano.

Intervenendo a Montecitorio alla presentazione del rapporto annuale Istat, Gianfranco Fini ha infatti affermato che

«L’esperienza di questi giorni dimostra chiaramente che non si può più affidare alle agenzie private di rating il compito di valutare la credibilità dei dati statistici. Troppo rischiosi infatti sono i condizionamenti e le pressioni di varia natura che a causa dell’andamento altalenante dei mercati possono provocare seri danni ai risparmiatori che investono e, in ultima istanza, ai cittadini che sono chiamati a sostenere gli oneri di manovre di risanamento economico costellate di sacrifici»

Per questo, il presidente della Camera aggiunge che

«la trasparenza dei conti e la possibilità di verificare il loro andamento, in modo da prevenire il rischio che situazioni critiche precipitino anche per la spinta di manovre speculative su vasta scala, richiedono uno sforzo virtuoso e sinergico da parte degli istituti di statistica, degli organi di governo e dei Parlamenti, chiamati a rappresentare gli interessi supremi della collettività, che si devono organizzare al meglio per monitorare la situazione»

Appare evidente che chi ha scritto questo passaggio del discorso di Fini non sa di cosa parla. In primo luogo, il riferimento pare essere solo agli emittenti di debito sovrano, e non ad aziende private. Quindi, ammesso e non concesso che tale argomentazione abbia fondamento (ma non ce l’ha), non verrebbe affatto risolto il problema del processo di rating di emissioni bancarie, soprattutto di quelle strutturate come i collateralized debt obligation (Cdo), che ricevevano la tripla A salvo implodere ad orologeria verso il default pochi mesi dopo. Resterebbe quindi “scoperto” (si fa per dire, stiamo ragionando per assurdo) l’epicentro della crisi.

Ma restiamo su emittenti ed emissioni pubbliche: voi non vedete una lieve incoerenza (se chiamarlo conflitto d’interessi è troppo démodé) in una agenzia pubblica che emette il rating di titoli pubblici? E il supposto vantaggio competitivo di agenzie pubbliche risiederebbe nella raccolta di dati statistici? Ma secondo il ghost writer di Fini, che dati usano (tra innumerevoli altri) le agenzie di rating attualmente esistenti? Ve lo diciamo noi: quelli degli enti statistici nazionali, oltre a interviste con i Tesori nazionali ed i loro responsabili. Quindi, quale sarebbe il vantaggio competitivo derivante dalla internalizzazione di queste funzioni in capo al pubblico, che i dati medesimi cesserebbero di essere di pubblico dominio? Non è chiaro quale sia lo “sforzo virtuoso e sinergico da parte degli istituti di statistica, degli organi di governo e dei Parlamenti”, forse mentire sulla reale condizione dei conti pubblici? Che accadrà durante i deterioramenti delle metriche di rating? Ve lo diciamo noi: una cosa di questo tipo.

E ancora: secondo il ghost writer di Fini i mercati si muovono a ruota delle agenzie di rating o ne anticipano i processi, lenti e spesso politicizzati? Per Moody’s il rating sovrano greco è addirittura A3, con outlook negativo, per S&P è junk (spazzatura, come amano enfatizzare i giornalisti italiani) dal 27 aprile, per Fitch è BBB- dal 9 aprile. Quand’è che i mercati hanno cominciato a martellare la Grecia? Forse un po’ prima delle azioni di rating, giusto?

Potremmo andare avanti, ma pensiamo basti. Ancora una volta, l’ennesima: smettiamola di guardare il dito o di rompere il termometro scimmiottando le idiozie franco-tedesche. La riforma delle agenzie di rating deve passare attraverso la rottura dei conflitti d’interesse con gli emittenti, non creandone di nuovi sotto un’aura di sacralità statalistico-patriottica.

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