Ma non chiamatela cricca

Su il Foglio, Giuliano Ferrara ci spiega, con l’innegabile mestiere che gli conosciamo e riconosciamo, cosa è una cricca, come andrebbe correttamente apostrofata e come ne andrebbe contrastata la formazione. Prosa suggestiva, come sempre; argomentazioni molto gracili.

Dapprima l’etimologia, che per Ferrara ricorda la caratterizzazione moralistica e totalitariamente repressiva delle dittature comuniste, con iconografia d’ordinanza per la Cina maoista e l’Unione Sovietica. Moralismo comunista, si diceva: che il parallelo corra più veloce della luce verso i magistrati inquirenti è fin troppo evidente. Troppa pesca a strascico con le intercettazioni, denuncia Ferrara, in perfetta continuità simbolica con i regimi dell’Est, quelli dove l’intera popolazione era spiata. Terminate le suggestioni, la logica comincia a traballare. Commentando la decisione della Cassazione di trasferire le inchieste da Firenze a Roma, Ferrara crede di aver trovato la prova dell’assenza di una sistematicità della rete corruttiva. Per poi rinvenirla e respirarla nell’ambiente romano:

Perché non è dimostrato un patto corruttivo organico, contratto in Firenze nel febbraio 2008 come argomenta l’accusa, ma una serie di comportamenti spregiudicati interni a un sistema di potere, tipicamente romano e a Roma localizzato, in cui lo scambio di favori tra pubblici funzionari, politici e costruttori amici è la regola. Bene. La Cassazione parla di “un sistema di relazioni professionali e personali che ha realizzato una rete di interessi intrecciati non legittimi”. Gli indagati “fanno parte di un sistema di potere in cui appare normale accettare e sollecitare utilità di ogni genere da parte di imprenditori del settore delle opere pubbliche, settore nel quale quei pubblici ufficiali (gli indagati funzionari dell’amministrazione, ndr) hanno potere di decisione o notevole potere di influenza e gli imprenditori hanno aspettative di favori”.

Bene, e quindi? Smantelliamo “teoremi” fiorentini solo per rallegrarci di avere la certificazione cassazionista che la rete gelatinosa (un tempo si chiamava “dazione ambientale”, ricorda, direttore?) è intrinsecamente romana? L’espressione “sistema di potere” ha connotazione etica o estetica? O è neutrale? E’ necessario avere rudimenti di filosofia teoretica per comprendere che in questo paese i “sistemi di potere” contigui e compenetrati alla pubblica amministrazione sono alla base di una enorme sottrazione di risorse all’economia? All’economia, non “al popolo”, si badi. E che c’entra il “gesto eroico” (rectius, la chiamata di correo) di Bettino Craxi alla Camera nell’aprile 1993? Tutti colpevoli, nessun colpevole? “Capitale corrotta, nazione infetta” è una verità eterna come l’Urbe oppure richiamarla espone ad accuse di giustizialismo? Ma confermiamo, in perfetta sintonia con Ferrara, che nostro obiettivo è la rimozione del moralismo e l'”efficientamento” delle prassi pubbliche di questo paese. Solo che su questo versante i precetti di Ferrara si indeboliscono vistosamente:

Ps: L’unico modo di ridurre il peso delle cricche, senza pretendere moralisticamente di eliminarle, è una legislazione semplificata e severa, una buona cultura del pubblico capace di imporre il disprezzo invece dell’ammirazione per i comportamenti antisociali, un esercizio decisionista dell’autorità sotto la sorveglianza della stampa e dell’opinione pubblica. La strada del terrore giudiziario, della forzatura di legalità, porta – come avvenuto per le inchieste sulla corruzione di Milano – in un vicolo cieco. O peggio.

Allora: niente moralismo, siamo d’accordo. Una legislazione semplificata? Certo, per evitare che gli esattori del pizzo burocratico si annidino nelle anse del processo autorizzativo, come da sempre avviene in questo paese. Una legislazione severa? Si, ma in che termini, le futili “pene esemplari” o magari alcune misure che spezzino il pervasivo conflitto d’interessi che in questo paese è ampiamente preesistente a Berlusconi, e che ci ha vaccinato contro l’indignazione quando vediamo che controllore e controllato sono lo stesso soggetto?

Ancora: serve una “rivoluzione culturale” (ops) capace di imporre il “disprezzo per i comportamenti antisociali”. Perfetto. Quindi Ferrara ci permetterà di esprimere disprezzo (anche piuttosto profondo e vibrante) per la “Repubblica di Embè” che abbiamo in casa al momento, o ci accuserà di travaglismo? “Sotto la sorveglianza della stampa”? Ma stiamo parlando di quella stessa stampa a cui questo aberrato ddl sulle intercettazioni vorrebbe impedire anche solo di fare resoconti su intercettazioni ormai divenute pubbliche? Non c’è un filino di incoerenza, se si vuole una stampa watchdog del potere (in Italia, figuriamoci) ed al contempo la si minaccia di morte economica se dovesse effettivamente mostrare velleità investigative lecite?

Dove c’è più reazione moralistica, direttore? Nel caso del ministro italiano che inconsapevolmente riceve 900.000 euro (o del predecessore, che resta quattordici mesi in affitto “a gratis”), o in quello della ministra svedese che è costretta a dimettersi per non aver pagato il canone televisivo? L’impressione è che Ferrara svolga la parte prescrittiva delle sue argomentazioni in modo manieristico e svogliato, perché l’unica cosa che gli interessa è stigmatizzare il moralismo giustizialista e la sua simbologia linguistica.

Eppure, Ferrara potrebbe fare moltissimo per promuovere il cambiamento che desidera vedere nel mondo. Magari esercitando la sua collaudata advisory nei confronti del premier. Ad esempio chiedendogli perché l’annunciatissima ed imminentissima legislazione anticorruzione sia stata rapita dagli alieni. Facciamo un patto: non chiamiamola cricca, ché è il marcatore linguistico del virus del totalitarismo; né facciamo moralismo. Ma studiamoci qualche bel testo di Public Choice di quel ganzo di Buchanan (James, non Patrick, anche se magari a Ferrara interessa di più il secondo). E soprattutto seguiamo la strada tracciata da Popper: “Come controllare chi comanda?” Se non lo fa la politica, inutile recriminare sul fatto che lo facciano i giudici.

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