Prendendo spunto dal commento di oggi di Massimo Gramellini, la rassegna stampa di Dagospia segnala la probabile elevazione agli onori ministeriali per Aldo Brancher, il pontiere tra Silvio e Umberto. L’ex “sacerdote paolino”, come lo definisce il Corriere, che oggi è sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle Riforme per il Federalismo, diverrebbe ministro all’Attuazione del medesimo, promettendo di ricoprire un ruolo ancor più determinante di quello, già critico, di Gianfranco Rotondi, al quale non a caso è stata di recente affiancata la prestigiosa Daniela Santanché, quella che a Silvio proprio non la vuol dare.
Il punto non è che Brancher sia spesso (ed assai poco volentieri) coinvolto in vicende giudiziarie, quanto la conferma della tendenza all’espansione di poltrone e strapuntini governativi, tutti assolutamente imprescindibili, al tempo dei “sacrifici chiesti a tutti”, e dei costi della politica più alti del mondo occidentale, e non solo. Buon lavoro a Brancher, soprattutto ora che il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, ha chiesto al governo di prendere formalmente posizione sull’affermazione del ministro per i Rapporti col Parlamento (altra figura insopprimibile), Elio Vito, che martedì scorso alla Camera ha sostenuto che le norme sul federalismo fiscale “hanno valore puramente programmatorio”. Che tradotto vuol dire che sono parte del gigantesco libro dei sogni che questa maggioranza scrive da molti anni, ergo che per esse non c’è alcuna copertura finanziaria. Che invece sarà assai più agevolmente reperibile per creare il ministero per Brancher.
Nel frattempo, parlando di austerità, segnaliamo il soprassalto del governatore veneto, Luca Zaia, che ha deciso di essere coerente con la sua vocazione e giocare al mercante in fiera: la manovra “così com’è è insopportabile per le regioni. Dobbiamo far valere le nostre ragioni: noi veneti dovremo dare battaglia su alcuni punti, primo tra tutti l’alta velocità”. Effettivamente, in una manovra fatta di tagli, chiedere più investimenti pubblici può avere il suo perché, poi magari la colpa è sempre dei “finiani” e del keynesismo altrui, mai del criptosocialismo leghista.
Tornando alla Repubblica di Embè, segnaliamo lo sbocciare (sempre rigorosamente esecrato) di correnti, gruppi, associazioni, bocciofile e club privé a sostegno del premier, entro il Pdl. L’ultima si chiama “Liberamente” e sarà, come segnala sempre il Corriere, un cenacolo di fedelissimi del premier, guidato da Mariastella Gelmini, Franco Frattini e Mario Valducci. La domanda sorge spontanea: se nel Pdl sono tutti “fedelissimi del premier”, perché questa proliferazione di fan club? La risposta la conoscete: embè?