Grande entusiasmo di media ed esponenti della maggioranza per i dati di maggio di fatturato e ordini all’industria, pubblicati oggi da Istat. Anche in questo caso, vale quanto dicevamo per la produzione industriale: quando si viene da un crash, anche una lieve ripresa crea mirabolanti effetti-confronto sugli indici tendenziali, e il dato di oggi non sfugge alla regola. Colpisce che gli organi di presunta informazione non siano andati oltre il comunicato Istat, che è una necessaria sintesi ad uso delle agenzie di stampa.
Se avessero aperto il testo integrale della pubblicazione di oggi, avrebbero avuto sotto il naso un bel paio di grafici che illustrano perfettamente quanto detto sopra:

Tuttavia, poiché veniamo spesso accusati di fare del disfattismo compulsivo, sarà utile ricordare un altro dato: il nostro export verso i mercati emergenti, e verso l’Asia in particolare, sta contribuendo in modo significativo alla ripresa della nostra manifattura. O meglio, a tenerci in linea di galleggiamento. I tassi di crescita dell’export verso Cina e India sono impressionanti, anche se in valore assoluto è ancora relativamente poco. Possiamo in effetti dire che il sistema-paese Italia sta capitalizzando meno di altri dalla impressionante crescita dei mercati emergenti. Ma una cosa è opportuno enfatizzare: il contributo cinese alla crescita del nostro export è rilevantissimo, e spetta al nostro sistema produttivo sviluppare questa tendenza.
E merita anche ricordare alcune frasi celebri dell’uomo che aveva capito tutto da sempre, del pezzo più pregiato della scacchiera, di colui che ha in mano la contabilità nazionale, e via zuccherando. Un piccolo passo indietro, alla scorsa legislatura. Quella dell’invocazione dei dazi contro la Cina, per difenderci dalla vandalizzazione dell’industria italiana, perpetrata dal solito noto:
«Prodi ha detto agli industriali a Vicenza ’io sono con voi sul treno dell’Asia’, io preferisco il treno dell’Italia. Ha detto che i porti italiani devono aprirsi all’importazione di merci asiatiche. Vi sembra normale un mondo in cui le merci italiane, che vanno in Cina, pagano il dazio e le merci cinesi che vengono qua non lo pagano? E’ il mondo alla rovescia» (Giulio Tremonti, 6 aprile 2006)
Questa frase, una vera hit durante il governo Prodi, è l’immagine speculare di altra, sempre del campionario tremontiano, che suonava così:
«Il problema del rapporto con la Cina è questo: ci stanno mangiando vivi. Le merci che vanno in Cina hanno i dazi cinesi le merci che arrivano in Europa, no. Io voglio per molti anni i dazi e le quote nel nostro Paese, fino a che ci saremo riconvertiti dal punto di vista industriale» (31 marzo 2006)
Ci siamo “riconvertiti dal punto di vista industriale” in un paio d’anni? Ma forse, per lenire le proprie dissonanze cognitive, per qualcuno è più confortante pensare che la Cina abbia nel frattempo abbattuto i propri fantomatici “dazi” sui nostri prodotti, chissà. Il fatto è che, per Tremonti e la Lega, l’export italiano verso la Cina era fatto solo di due tipologie merceologiche di prodotti finiti: calzature e tessile. Incredibilmente, pare che per giungere al prodotto finito servano macchinari, e lì le cose per il Made in Italy sembrano andare piuttosto bene, così come più in generale per l’export verso l’Asia di macchine utensili, che contribuisce più robustamente alla creazione di valore aggiunto. Ma ai nostri miopi dirigisti il concetto di filiera produttiva non era noto. Men che mai quello di specializzazione e di vantaggio comparato nel commercio estero, servivano proprio i dazi.
Di certo oggi c’è motivo di ritenere che molti imprenditori di simpatie leghiste non vogliano neppure sentire parlare di dazi contro la Cina. Ma il nuovo Divo Giulio si è già lasciato alle spalle queste umane miserie. Lui è troppo impegnato a muoversi sulla scacchiera, e a dar lavoro a torme di notisti politici ed editorialisti, impegnati ad affrescarne le gesta, nel teatrino della politica italiana.
Update – Finalmente qualcuno spiega come stanno realmente le cose. Un piccolo passo per un economista, un grande passo per un’umanità di cocoriti.