Su Chicago Blog, eccellente testimonianza di Alberto Mingardi sul fenomeno dei Tea Parties, in occasione della manifestazione Restoring Honor, organizzata da Glenn Beck. Tralasciando quest’ultimo, che da queste parti non viene esattamente considerato un’icona positiva, alcune considerazioni sul movimento anti-fisco s’impongono, seguendo la traccia delle considerazioni di Mingardi.
In primo luogo, concordiamo sulla natura assolutamente non monolitica del movimento. Lo avevamo già segnalato, non potrebbe essere altrimenti trattandosi di sviluppo dal basso. Prendiamo atto anche dell’apparente conferma delle percezioni della natura “paciosa”, familiare e comunitaria (provinciale in senso buono) del movimento, senza suggestioni di white supremacy. Alberto non ha praticamente incontrato cittadini di colore: è probabile che anche gli ispanici non fossero numerosissimi. Sul tema della religiosità “civile” (molto americana) del movimento, suggerita da Mingardi, è forse lecito nutrire qualche dubbio. Probabilmente non si sarà parlato di issues “operative” come aborto, matrimonio gay e quant’altro solo perché eccentriche rispetto al nucleo della manifestazione di Beck; che, per parte sua, pur essendo un consumato polarizzatore (per usare un eufemismo), sa perfettamente quali tasti premere per evitare temi divisivi del suo “popolo” di riferimento.
Sul rapporto con il GOP: sappiamo che i Tea Parties puntano ad un hostile takeover, i primi clamorosi responsi si sono già avuti in alcune primarie Repubblicane. Vedremo come l’establishment del partito reagirà, e come le piattaforme elettorali degli incumbent saranno modificate per tentare di togliere l’acqua al vaso dove nuotano i Tea Partiers. Quello che è certo, anche questo abbiamo già segnalato, è che le due entità politiche rischiano di entrare in rotta di collisione su alcuni grandi e tradizionali temi della politica americana, in particolare gli esteri. Dopo aver letto che, per l’Ammiraglio Mike Mullen, che presiede il Joint Chiefs of Staff, la singola maggiore minaccia alla sicurezza nazionale americana è lo stock di debito del paese, è difficile evitare di sorridere. Non per la considerazione in sé, quanto per chi l’ha fatta.
E questo ci porta al tema dell’isolazionismo, che appare oggi prevalente nei Tea Partiers. Poiché ci sentiamo indirettamente chiamati in causa dalle considerazioni di Alberto in materia, aggiungiamo che siamo incondizionatamente d’accordo con lui sul giudizio su ampia parte della politica estera dell’Amministrazione Bush. Anzi, mettiamoci pure il carico: visto da un’ottica di conservatorismo fiscale, quella di GWB è stata una presidenza imperial-socialista, oltre ad aver compiuto tragici errori geostrategici, che hanno contribuito ad indebolire la posizione americana in molte aree dello scacchiere mondiale. Ma come finirà, quando i Repubblicani interventisti bushiani e “cheneysiani” entreranno in rotta di collisione su questi temi con i Tea Partiers, in vista della elaborazione di una piattaforma per America 2012?
Altra interessante osservazione di Mingardi è quella sul libertarismo naif (o à la carte) di alcuni sostenitori dei Tea Parties, quando si dicono favorevoli a pagare meno tasse ed al contempo assumono posizioni proibizioniste, ad esempio sulla marijuana. Il rischio, visto da un angolo visuale libertario, è quello di avere liberismo economico e proibizionismo sulle libertà individuali, in misura più evidente di quanto già visto negli ultimi anni, anche se spesso in economia si è trattato dell’assai classico “liberismo in casa d’altri”.
In sintesi, noi non demonizziamo i Tea Parties. Pensiamo potrebbero avere un ruolo molto importante per correggere la deriva da Big Government inaugurata da Bush e proseguita da Obama, sulla scia dell’emergenza economica, riportando almeno il GOP su posizioni di responsabilità fiscale che sono evaporate negli otto anni della presidenza Bush. Restiamo scettici sulla dinamica politica che potrà essere innescata da alcune posizioni vistosamente naif del movimento, oltre che sulla reale consistenza elettorale del Tea Parties, che oggi appaiono in prevalenza radicati nell’America profonda, tendenzialmente ultraconservatrice nei valori religiosi. Difficile pensare che questa America possa continuare a guidare il mondo, ma il tempo ci spiegherà.
Volgendoci ai minimi sistemi, c’è solo da auspicare che l’analisi prenda il posto del caratteristico frastuono prodotto da laudatori e detrattori del movimento anti-fisco. Soprattutto nel piccolo stagno blogosferico italiano.