Tra infermieri, pasticceri e pasticcioni

Pace fatta, almeno per oggi, tra il governatore della Banca d’Italia ed il ministro del Tesoro sui dati della disoccupazione. Mario Draghi, parlando nel corso della Giornata mondiale del Risparmio ha ribadito che, sommando ai disoccupati anche gli scoraggiati ed i cassintegrati, si otterrebbe un tasso superiore all’11 per cento.

Si tratta di fatto, della grandezza equivalente alla statunitense U-6 (che peraltro è ben più elevata), ed a Draghi può quindi essere attribuito il merito di aver introdotto questo criterio di misurazione della disoccupazione nelle statistiche economiche italiane e – soprattutto – nel discorso pubblico italiano. Auspicabile quindi, anche grazie al conciliante imprimatur tremontiano, smettere di leggere o ascoltare le invettive brunettiane o sacconiane contro il comunismo che si cela dentro una Bankitalia ormai gemellata con la Cgil, almeno a sentire il neo-devoto ministro del Lavoro. Occorre essere intelligenti per cambiare idea, e a Tremonti negli ultimi anni è capitato molto spesso di cambiare idea.

Nel corso del suo intervento nella stessa assise, il ministro ha però tentato di travestirsi da esperto di mercato del lavoro, affermando che “potremo condividere un altro punto di vista”, e cioè quello evidenziato da una ricerca di Confartigianato secondo cui in Italia “esistono 400.000 posti di lavoro che non vengono accettati”. “Se la tua prospettiva è il posto fisso in una fondazione bancaria – ha detto Tremonti nel suo intervento alla Giornata del risparmio dell’Acri – la chance di disoccupazione è molto alta”, così come se si dice “no grazie” a posti di lavoro da “infermiere, meccanico, sarto, apprendista”, categorie civili che “vanno presentate in modo un po’ diverso”.

Prescindendo da argomentazioni come sempre very pop, come quella sul mismatch tra domanda ed offerta di artigiani sulle quali attendiamo fiduciosi gli editoriali di alcuni “inviati speciali” del Giornale (a proposito, ma quella degli infermieri assimilati agli artigiani ci mancava, un plauso alla fantasia di Confartigianato), è il paragone con l’occupazione nelle Fondazioni bancarie ad essere esilarante, visto che le fondazioni oggi in Italia rappresentano il modello dell’invadenza politica e della lottizzazione, oltre ad essere (come le municipalizzate) un confortevole collocamento per trombati alle elezioni. Ma non sottilizziamo, il paese è ormai un gigantesco bar sport a cielo aperto.

Tremonti è anche tornato sulla gestione della crisi mostrando, almeno a livello teorico, una eccellente capacità di distinguere il congiunturale dallo strutturale:

«All’inizio tutti parlavano della reazione alla crisi e parlavano di stimoli. La parola stimolo in sé ha già qualcosa di ridicolo e di grottesco. Ad una congiuntura reagisci apportando degli stimoli ma non è una congiuntura, un ciclo economico, ma è una crisi e la crisi è discontinuità, cambio di paradigma. Che tutto fosse gestibile in termini di stimoli era un’idea ritardata e un po’ riduttiva»

Perfetto. Date le premesse avremmo quindi una ed una sola una sola domanda per Tremonti, ma soprattutto per il premier: dove sono le riforme di struttura, quelle che cambiano il paradigma e certificano la discontinuità?

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