Gli investitori attendono una settimana che si annuncia ricca di eventi, dalle elezioni statunitensi di midterm di martedì alla riunione del FOMC mercoledì (con l’annuncio degli acquisti di attivi da parte della Fed), al dato di venerdì prossimo sugli occupati. Le attese della riconquista da parte dei Repubblicani di una o entrambe le camere inducono ottimismo sulla base dell’evidenza storica che mostra lo stallo parlamentare (gridlock) tra i due partiti come correlato a periodi positivi per l’economia. Questa volta potrebbe tuttavia andare diversamente, perché lo status quo non pare la soluzione migliore in un periodo in cui è comunque necessario agire.
Le attese per nuovi acquisti di Treasuries da parte della Fed, tali da ridurre i rendimenti di mercato, hanno indotto nelle scorse settimane molti investitori a prendere posizioni lunghe sulla duration obbligazionaria. Si tratta di una visione necessariamente tattica, poiché l’eventuale successo della Fed nel reflazionare l’economia implica rendimenti più elevati nel medio-lungo termine. Da qui l’obiettivo a cercare attivi più premianti in caso tale scenario si realizzi, pur con attenzione ai profili di rischio macroeconomico. Nell’ambito obbligazionario ciò significa privilegiare soprattutto i mercati emergenti e gli emittenti non finanziari, evitando il debito pubblico dei paesi sviluppati.
Nella settimana appena trascorsa le incertezze relative alla dimensione effettiva degli acquisti da parte della Fed hanno innescato una lieve risalita dei rendimenti obbligazionari, mentre l’Area Euro è tornata sotto pressione per i ricorrenti timori che la Grecia ed altri paesi non possano o non vogliano riuscire a tagliare il deficit. I segnali da Bruxelles sulla spinta tedesca a ridisegnare la gestione delle crisi costringendo anche gli obbligazionisti a portare il peso di eventuali dissesti sovrani stanno chiaramente aumentando il rischio di default per gli investitori all’interno dell’area Euro.
I mercati azionari sono rimasti stabili, come nelle ultime due settimane. In prospettiva, il rally azionario dipenderà sempre più dalla crescita economica. Gli annunci degli utili del terzo trimestre hanno regalato ancora sorprese positive, per il settimo trimestre consecutivo: è proseguita l’ascesa dei margini di profitto, che ha finora seguito un andamento a forma di V. In risposta al crollo della domanda ed alla riduzione della redditività causate dal crack Lehman, le aziende hanno intrapreso una incisiva azione di taglio dei costi fatta soprattutto di ridimensionamento degli organici ed hanno beneficiato dalla riduzione del costo del denaro. Ciò si è tradotto nel recupero di redditività ai livelli pre-Lehman.
Ma le condizioni ambientali sono destinate a divenire più complesse: l’elevata disoccupazione frena la crescita dei fatturati, mentre l’esigenza di maggiore spesa sociale potrebbe tradursi in maggiore tassazione a carico delle imprese. Da ciò si prevede pressione sui margini di profitto, che potrebbero aver visto i massimi per questo ciclo economico. Le aziende dovranno quindi sempre più contare sulla crescita dei fatturati per conseguire gli obiettivi di utile, ma i dati del terzo trimestre continuano a mostrare una crescita delle vendite piuttosto asfittica.
Sul mercato valutario, l’ipotesi che la Fed possa agire meno delle attese degli investitori ha indotto un rafforzamento del dollaro contro tutte le valute. In prospettiva, molto dipenderà dall’interazione tra politica fiscale e monetaria statunitensi. Lo scenario peggiore per l’economia globale è quello di nessuna stretta fiscale e di acquisti della Fed motivati soprattutto dall’esigenza di finanziare il deficit federale, che potrebbe innescare una crisi del ruolo del dollaro come valuta di riserva internazionale, oltre ad indurre aspettative inflazionistiche. Lo scenario più benevolo è quello che vede una stretta fiscale compensata dall’azione espansiva della Fed, che confermerebbe la tendenza ad un ordinato deprezzamento del dollaro, cioè con bassa volatilità.
Tra i dati macro, il Pil statunitense del terzo trimestre cresce del 2 per cento annualizzato, ma con una rilevante contribuzione da parte delle scorte. Le vendite finali reali (variazione del Pil al netto di quella delle scorte) crescono infatti di solo lo 0,6 per cento annualizzato, contro lo 0,9 per cento del secondo trimestre. Dati che tipicamente tendono a manifestarsi in un ambiente recessivo, non durante una ripresa.