Macromonitor – 7/11/2010

Settimana dominata da tre grandi eventi statunitensi (elezioni di midterm, seduta del FOMC e dato sugli occupati in ottobre), ognuno dei quali ha prodotto effetti positivi per i prezzi degli asset, con azioni ed obbligazioni che strappano al rialzo e titoli governativi in lieve recupero, mentre gli spread delle obbligazioni societarie continuano a stringere. Le aree di rischio restano le condizioni della finanza pubblica nei paesi periferici dell’area Euro e a livello statale negli Stati Uniti.

Riguardo l’esito elettorale, la schiacciante vittoria dei Repubblicani (da qualsiasi angolo visuale la si guardi) rende più probabili concessioni della Casa Bianca alle imprese, nei mesi a venire. Allo stesso modo, vi sono indicazioni che la Fed potrebbe consentire alle banche di alzare i dividendi, creando un potenziale rialzista di breve termine per il settore.

Riguardo la nuova fase di easing quantitativo (per un totale di circa 900 miliardi di dollari fino alla fine di giugno 2011), non è per nulla scontato che minori rendimenti obbligazionari indurranno nuovo indebitamento o maggiore spesa, ma renderanno l’obbligazionario meno attraente in un’ottica di lungo termine, sia per la minore remuneratività che per l’accresciuto rischio di inflazione. Il probabile spostamento verso attivi reali (azioni ed immobiliare), dovrebbe spingere l’effetto-ricchezza e quindi la spesa. L’impegno della Fed alla reflazione è inoltre atteso porre un paracadute a rischi di ribassi di una certa entità. Questo corso di azione accresce tuttavia il rischio di effetti collaterali indesiderati, quali eccesso di leva finanziaria, rischi di credito sovrano, rischi di guerre valutarie, che non vanno sottovalutati.

La recente serie di positive sorprese nei dati di attività negli Stati Uniti ed in Europa tende a produrre revisioni rialziste alle previsioni di crescita del corrente trimestre, anche se sul prossimo impatteranno gli effetti di un probabile eccesso di scorte e della stretta fiscale.

Sul mercato obbligazionario, il fatto che la Fed stia allentando ulteriormente la politica monetaria mentre affiorano segni di ripresa dell’attività dovrebbe dare la misura di quanto la banca centrale statunitense consideri ampio il vuoto di attività oggi in essere nell’economia. Ma se la Fed avrà successo nel reflazionare, i rendimenti di mercato saliranno, richiedendo di uscire dall’asset class. Questa settimana gli spread della periferia di Eurolandia si sono fortemente allargati, con l’Irlanda al centro della crisi. Un nuovo e più severo budget, che incorpora prospettive più realistiche di minore crescita è stato per ora messo in standby da una maggioranza parlamentare in via di restringimento ed in attesa delle prossime elezioni suppletive, che assegneranno i tre seggi vacanti da oltre un anno e mezzo. Se l’allargamento degli spread dovesse proseguire, sarà molto difficile per Dublino accedere al mercato primario il prossimo anno, anche se il paese sembra finanziato fino al prossimo giugno.

I mercati azionari sono stati spinti dalla manovra annunciata dalla Fed, dalle elezioni di midterm e da dati di crescita più forti delle attese. I mercati del credito restano attraenti, con spread ancora piuttosto ampi relativamente ai livelli visti durante l’ultima espansione. Discorso analogo per gli High Yield, che beneficeranno, oltre che di spread ancora storicamente elevati rispetto al ciclo, anche dell’attesa riduzione della volatilità successiva alla manovra della Fed, oltre al previsto basso livello di default attesi per il prossimo biennio. Scenario simile in Europa, con tuttavia l’incognita della crisi dei paesi periferici.

Sul mercato dei cambi, l’euro si rafforza per effetto dell’azione della Fed, che indebolisce il dollaro, mentre i timori per la crisi di debito della periferia non stanno al momento incidendo sulla divisa unica, anche se l’equilibrio resta instabile.

Tra le materie prime, nuovi rialzo del petrolio, con l’Arabia Saudita che segnala di non voler interferire con una eventuale ascesa del barile a 90 dollari. Il quadro rialzista per il greggio sembra confermato, oltre che dall’apprezzamento delle quotazioni espresse in dollari indotto dall’azione della Fed, anche da forza fondamentale, con la recente ripresa dell’attività delle raffinerie, riduzioni di offerta da Iraq, Nigeria e Russia, dalla ripresa di forza dell’economia cinese, dalla riduzione dei livelli di scorte e dall’approssimarsi della stagionalità invernale. Più in generale, il quadro congiunturale appare sostenere le quotazioni delle materie prime.

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