Se le chiamano auto pubbliche, un motivo deve esserci
Nuova puntata della saga dei taxi romani. Dopo lunga ed approfondita riflessione, e accertato che aumenti secchi del 20 per cento sulle tariffe non fanno molto fino, il piano B prevede aumenti di “solo” il 10 per cento, integrati da una congerie di sgravi ed incentivi a vantaggio dei tassisti: dai contributi ai carburanti a quelli per spese di manutenzione, per giungere fino ad erogazioni per l’acquisto di mezzi ecologici, per un gran totale di 6 milioni di euro. Ne dà notizia Romeo Incerti, su lavoce.info. Un intervento che, se realizzato, sarebbe il trionfo della distorsione fiscale e del furto ai danni dei contribuenti.
Il motivo è presto detto:
Si accollerebbe alla fiscalità generale una parte degli oneri di un servizio che, checché venga giuridicamente definito “trasporto pubblico non di linea”, è a domanda individuale e non ha carattere di socialità. I cittadini romani tutti, anche quelli che non lo utilizzano mai, contribuirebbero a pagare il taxi a coloro che lo utilizzano, turisti e uomini d’affari compresi. Dal punto di vista sociale, i più poveri contribuirebbero a finanziare i più ricchi.
In sintesi, una manovra fortemente regressiva e lesiva della concorrenza, visto che metterebbe fuori gioco i noleggiatori con conducente, che da tempo immemore conducono un’aspra lotta (spesso fisica) con i tassisti capitolini. Ma non temete, ci sono sempre margini “ideologici” per sostenere che i sussidi per l’acquisto della Prius hanno ricadute “sociali”, perché abbattono le esternalità negative dell’inquinamento. Il tutto considerato che il quadro legislativo attuale (legge 21/92) non consente ai comuni di erogare sussidi ai tassisti, ma solo di disciplinare tariffe e modalità di effettuazione del servizio.
E’ notevole come, anche in un periodo di crisi fiscale, esistano ancora margini per erogare sussidi ai propri darling elettorali. Non è difficile, date le premesse, immaginare il futuro “federalista” che ci attende: crescenti tasse a carico della fiscalità generale (o del turismo, la nuova mucca da mungere perché non vota, almeno così credono lor signori) per difendere con le unghie e con i denti il potere d’acquisto delle corporazioni che riescono ad entrare nelle stanze del potere politico.
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Uno scenario da incubo, rigorosamente improntato alla massima “italianità”, perché allo stato attuale appare molto improbabile che i contribuenti votino con i piedi spostandosi in un’altra regione, dove troverebbero con tutta probabilità un ambiente fiscale simile, grazie a qualche provvidenziale “armonizzazione” fiscale interregionale. Il tutto in un florilegio localistico di fantasiosi divieti, prescrizioni pruriginose e qualche occasionale caccia a zingari e arabi, perché bisogna pur distrarre i contribuenti, ogni tanto. Avete voluto il federalismo? Pagate.