La non notizia del giorno è che la Cina, nei prossimi dieci anni, potrebbe investire fino a 2000 miliardi di dollari in aziende e progetti esteri, la maggior parte dei quali negli Stati Uniti. Una non notizia, perché, quando si ha un enorme surplus commerciale bilaterale, è fatale che i capitali vengano riciclati nel paese di destinazione delle esportazioni.
Secondo gli analisti, inoltre, il credito commerciale concesso dalla Cina ai propri clienti esteri importatori ha raggiunto lo scorso anno i 102 miliardi di dollari, contro i soli 19 miliardi di dollari del 2008. Oltre a ciò, il Dipartimento del Commercio statunitense la scorsa settimana ha pubblicato dei dati che mostrano che il valore dei possessi cinesi negli Stati Uniti è passato da 3 miliardi di dollari nel 2004 a 127 miliardi a tutto giugno 2010.
I cinesi, quindi, stanno passando da investimenti di portafoglio, concentrati nell’ambito dei Treasury Bills e Bonds, ad investimenti molto più tangibili. La tempistica è politicamente intrigante, giungendo in un momento in cui gli Stati Uniti, per risanare le finanze pubbliche, stanno meditando di ricorrere a soluzioni tipicamente “italiane”, come la dismissione di terreni e proprietà pubbliche. Il governo federale è infatti il maggior proprietario di real estate del paese, in particolare di terreni che assommano a centinaia di milioni di acri, pari a circa il 30 per cento della superficie della nazione. Un portafoglio immobiliare e fondiario il cui valore è stimato nell’ordine di 230 miliardi di dollari, e che comporta ogni anno costi di manutenzione per circa 20 miliardi. La lista è sempre quella: caserme, uffici, magazzini dismessi.
Considerato che, secondo il Fondo Monetario Internazionale, l’internazionalizzazione cinese punta ad acquisire o affittare soprattutto terreni e risorse alimentari in Nord e Sud America, presto l’inevitabile conflitto tra economia e “sicurezza nazionale” tornerà a lacerare le scelte occidentali, rilanciandone il populismo. Aspettiamoci ondate di tremontismo trionfalmente preveggente, e sindacati di merito riguardo la genuinità delle motivazioni degli acquirenti.