Ribasso dei mercati rischiosi a inizio settimana e rally dei bond su continuo rallentamento della crescita, con recupero nella seconda parte della settimana che lascia largamente invariate le performance.
Per monitorare la situazione può essere utile comparare l’attuale episodio con quello del periodo aprile-giugno dello scorso anno, che fu caratterizzato da una importante correzione delle scorte, con forte decelerazione della produzione industriale, che toccò un minimo di periodo nel mese di agosto. Altre similitudini tra i due periodi sono date dallo stress del debito della periferia dell’euro, timori per la stretta cinese, crescita dei prezzi del greggio. Anche le reazioni del mercato appaiono molto simili a quelle dello scorso anno.
Tra le differenze, le aree da cui provengono le revisioni al ribasso delle stime di crescita: quest’anno Stati Uniti, Regno Unito e Giappone (a seguito dello tsunami). Le previsioni per il resto del mondo continuano al momento a reggere, a differenza di quanto accaduto lo scorso anno. A livello di posizioni, non vi è ancora stata alcuna capitolazione, ma solo un ridimensionamento delle posizioni lunghe su asset rischiosi, segnatamente l’azionario.
Tra gli ambiti di maggiore incertezza, si confermano i timori per la conclusione della seconda fase dell’easing quantitativo della Fed, il prossimo 30 giugno. Molti portfolio manager appaiono corti di duration e ciò, assieme all’andamento cedente dei rendimenti (indotto dai segnali di rallentamento congiunturale), dovrebbe evitare eccessive pressioni ribassiste sui prezzi dei Treasury. Si attende il mese di luglio per verificare dove i mercati tenderanno a dirigersi.
Sul reddito fisso, nel segmento decennale i rendimenti sono oggi intorno ai minimi dell’anno, con l’eccezione dell’area euro, spinti da una ripresa degli acquisti dei fondi. Il rally settimanale è stato più pronunciato soprattutto sulla parte breve della curva euro, al punto che il mercato monetario ora prezza solo un rialzo della Bce da qui a gennaio, contro i tre scontati fino a poco tempo addietro. Gli spread spagnoli restano la prova del nove della sistemicità o meno della crisi. Dopo un forte ampliamento a inizio settimana, per timori dell’affiorare di nuovo debito locale ed in sincrono con l’Italia, posta in negative outlook da Standard & Poor’s, gli spread hanno stretto nella seconda parte della settimana. Probabile (data la posta in gioco) che la Grecia ottenga l’ennesimo sostegno, ma la criticità della situazione e le reazioni a livello di opinione pubblica nei paesi del Nord Europa sono destinati a mantenere il quadro molto volatile.
Ribassi sui mercati azionari, che sono così giunti ad azzerare i guadagni da inizio anno. L’indice globale MSCI AW World è solo all’1 per cento sopra la propria media mobile a 200 giorni. Si attende anche qui il mese di luglio, con l’inizio della reporting season statunitense del secondo trimestre, ma il consenso di mercato sul livello degli utili attesi non appare un’asticella posta troppo in basso. I settori ciclici continuano a sottoperfomare quelli difensivi. L’indice globale delle banche è al punto di minimo relativo da aprile 2009 rispetto all’indice globale MSCI AC World, a causa del persistente regulatory risk e della deludente crescita di impieghi e ricavi. Anche il price-to-book ratio è ai minimi dal 1984, ma il quadro economico e regolatorio oggi genera enorme incertezza, non confrontabile a nessun periodo storico recente.
Sul mercato dei crediti prosegue il diluvio di emissioni, soprattutto High Yield, con rendimenti ormai ai minimi storici. Il grosso delle nuove emissioni è per rifinanziamento e consolidamento delle scadenze, a differenza di quanto accaduto nell’ultima ubriacatura di mercato, quando le nuove emissioni erano legate soprattutto al finanziamento di operazioni di LBO e M&A. Ma con livelli così bassi di rendimento complessivo, cresce anche per gli HY la dipendenza dal rendimento dei titoli di stato nella determinazione del ritorno complessivo.
Le materie prime recuperano in settimana circa il 2 per cento in dollari, guidate dal settore dell’energia, con greggio e gas naturale in rialzo. In settimana il Dipartimento dell’Energia statunitense ha approvato un progetto per sviluppare le capacità di export di gas naturale del paese. Il progetto non si completerà prima del 2015, ma alza la probabilità di approvazione di altri progetti del genere. Ciò sosterrebbe nel medio-lungo termine i prezzi del gas, che sono in calo costante dal 2008 a causa di un eccesso di offerta. La capacità di esportare aprirebbe ai produttori americani le porte dei mercati europeo ed asiatico, dove i prezzi sono molto più alti.