Deaglio, la “speculazione” ed il sistema-paese

Su La Stampa, un editoriale a tratti sdegnato di Mario Deaglio sulla situazione economica globale e sulla crisi fiscale euro-americana. Ci sono un paio di passaggi meritevoli di attenzione ed analisi, per la loro palese incapacità di comprendere quanto sta accadendo.

Nel primo, dedicato alla ormai celeberrima operazione di copertura del rischio-Italia da parte di Deutsche Bank (quella che per il Corriere resta la “banca centrale tedesca”), e della mancata reazione di Tremonti, impegnato nella controffensiva mediatica per convincere gli italiani che lui non ruba perché è ricco, Deaglio scrive:

«Ci si sarebbe potuti aspettare una vibrante presa di posizione del ministro dell’Economia che denunciasse le massicce vendite, di marca chiaramente speculativa, di titoli del debito pubblico italiano da parte di pochi grandi operatori, tra cui alcune banche tedesche. Grazie a queste vendite, si assiste a un secondo paradosso, ossia che il debito pubblico italiano, da tutti definito solido fino a un paio di mesi fa, sia divenuto debolissimo sui mercati senza che nulla sia cambiato nella struttura e nella congiuntura dell’Italia»

E’ del tutto evidente che Deaglio non ha la più pallida idea di come funzionano i mercati finanziari. La cosa non è grave, per un accademico, ma lo è definire “paradosso” il fatto che il debito italiano “fino a un paio di mesi fa” fosse definito “solido” (da chi?), e che ora sia diventato improvvisamente radioattivo, che per Deaglio sarebbe la prova provata che la speculazione ci marcia.

L’Italia è un paese che non cresce, e che deve attuare strette fiscali continue per restare in linea di galleggiamento, alimentando un circolo vizioso potenzialmente mortale. A questo si aggiunge che l’Europa ha deciso che i privati debbano essere coinvolti nei salvataggi, con decurtazioni del valore nominale delle loro attività. I mercati sono certi che questo principio non può essere né sarà limitato alla Grecia, comprendono che l’Italia è l’elefante nella cristalleria, e nel dubbio alleggeriscono le posizioni. Deaglio riuscirà a capire che quello che è cambiato, ed in modo decisivo, è esattamente questo coinvolgimento privato, e che questo, oltre ad essere un game changer, rischia di essere l’elemento che precipita la crisi? Si direbbe di no, visto quello che scrive subito dopo:

«La denuncia – che è mancata anche per le difficoltà personali del ministro – avrebbe dovuto essere accompagnata da forti limitazioni, da attuare di concerto con gli altri Paesi della zona euro, nel tipo di contrattazioni ammesse, magari circoscritte ai soli contanti. C’è stato invece un quasi completo silenzio italiano: le meschinità della politica spicciola hanno monopolizzato l’attenzione di tutti e azzerato la nostra azione internazionale»

Qui Deaglio suggerisce in pratica di vietare l’uso dei credit default swap, non solo per operazioni naked, cioè non a copertura, ma addirittura per quelle di copertura. Deutsche Bank ha comprato protezione sull’Italia perché ha ritenuto (con assoluta ragione) che scaricare fisicamente i Btp sul mercato avrebbe causato una rottura dei prezzi, vista la minore propensione ad assorbire elevate quantità di titoli di paesi comunque a rischio. I cds utilizzati da DB hanno dunque assolto alla loro funzione originaria e “genuina”, quella di copertura del rischio. Con buona pace di Deaglio, che le assimila a quelle “di natura strettamente speculativa”. Forse Deaglio avrebbe preferito fire sales per distruggere i prezzi e creare il panico sul debito italiano?

Stupisce, ma non troppo, vista la profonda incultura finanziaria presente nel nostro paese a tutti i livelli (vedi anche l’esagitato editoriale di Massimo Mucchetti sul Corriere), che si gridi allo scandalo quando una banca privata decide di evitare di perdere soldi. Qualcuno ha obiettato che DB ha usato ed usa benefici pubblici forniti dal proprio governo, in vario grado ed analogamente a tutte le banche del mondo occidentale e sviluppato, e non dovrebbe quindi perseguire una logica strettamente “privata”. Ma proprio per questo motivo non ha alcun senso chiedere ad una banca di perdere deliberatamente soldi in una operazione di mercato. Anche perché, se ciò accadesse, la banca coinvolta dovrebbe ricorrere ancor di più ad aiuti pubblici.

Ma forse questo è un atteggiamento culturale prettamente italiano, quello di “banca di sistema”, che poi è quella che strangola le piccole e medie imprese e presta a manetta a finanzieri che poi devono essere salvati perché i pacchetti azionari di cui dispongono sono troppo politicamente sensibili per essere lasciati alle cure dello spietato mercato.

Questa incapacità di saper fare diagnosi ed il profondo convincimento che “fare sistema” significhi proteggere il fondoschiena dell’oligarchia finanziaria o metterlo in quel posto ai contribuenti, è la radice del male di questo paese. Non stupisce più, ma la rabbia resta intatta, e semmai si accresce, vista la “qualità” media dei nostri commentatori economici.

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