La disfatta odierna dei mercati finanziari europei ha una serie di concause. In primo luogo, i mercati hanno ormai chiaro che l’Eurozona ha un potenziale di devastazione che potrebbe affondare l’economia globale. Tutto è cominciato, o meglio ricominciato, con la scoperta dell’ennesimo sfondamento dei target fiscali della Grecia, e la partenza più o meno improvvisa e teatrale da Atene della troika (Ue, FMI, Bce). Questo evento ha impresso una violenta accelerazione alla crisi, alzando drammaticamente le probabilità di default greco. Oggi il titolo di stato greco a due anni rende il 50 per cento, che vuol dire default pressoché certo.
L’Italia, che è l’elefante nella cristalleria, è stata subito messa sotto pressione, a causa della liquidità ed ampiezza del suo stock di debito pubblico. Ma noi abbiamo una colpa specifica: la manovra risulta una presa in giro, con un ministro dell’Economia che confessa candidamente, in un consesso internazionale a massima risonanza, che sono stati fatti degli errori “a causa della fretta”. Errori minori, perché relativi all’accorpamento di festività civili; riguardo le quali noti esperti, come Daniela Santanché, andavano in televisione a sibilare di esigenze di “produttività”. Ma soprattutto una manovra centrata sul nulla della lotta all’evasione ed a voci di entrata aleatorie e comunque sovrastimate.
Non è un caso che il nostro paese, da ormai tre mesi, stia sistematicamente facendo peggio della Spagna, come potete osservare qui sotto: le metriche sono peggiori, la performance economica quasi simile, ma lo stock di debito nettamente maggiore, ed una manovra correttiva che non corregge, figlia com’è di una paralisi corporativa terminale. Facendo due più due, ai mercati è bastato assai poco per dare corpo agli scenari peggiori: un downgrade imminente dell’Italia, che è già sotto osservazione negativa dalle agenzie di rating; la possibilità che la Bce, ormai apertamente sfidata dai mercati, getti la spugna degli acquisti di nostri titoli, cosa peraltro assai probabile. E non che non si sapesse da subito, visto i precedenti degli altri paesi, ed a maggior ragione per l’Italia.
In questo senso, l’invocazione odierna di Trichet a “punizioni” per i paesi che non rispettano i target fiscali, suona come una pericolosamente vocale dichiarazione di impotenza. Quindi, anche se qualche editorialista foglia di fico del liberismo vi inviterà a non credere che questi bombardamenti a tappeto sul mercato sono figli dell’insipienza del nostro governo, sappiate in realtà che ci sono delle retroazioni un po’ più complesse di così: la Grecia si avvicina all’inevitabile default, mettendo pressione all’Italia, che mette pressione al resto dell’Eurozona. Questa è la causalità complessa che occorre conoscere e riconoscere. Nessuno sano di mente o ignorante ma in buona fede può credere che l’Italia si limiti a subire turbolenze, anziché concorrere a produrle ed amplificarle.
Al danno si aggiunge la beffa di un governo italiano che ha costruito la manovra correttiva con ipotesi di crescita largamente sovrastimate, e che si trova quindi ad avere nuovi buchi di bilancio all’orizzonte e solo oggi lo dichiara candidamente, o criminalmente, a seconda dei punti di vista. Altra domanda da girare ai nostri editorialisti foglia di fico, quelli che “Tremonti però è stato bravo a tenere ferma la barra dei conti pubblici”. Ovviamente non è così perché qualunque altro al suo posto, a meno di essere un infiltrato sabotatore, avrebbe fatto esattamente lo stesso, e dovremmo finirla di raccontarci questa favoletta avendo davanti agli occhi la maschera grottesca di un ministro che si trascina davanti alle telecamere a lanciare raffazzonate citazioni storico-religiose-videoludiche e bislacche analisi economiche da sciamano di provincia, che in ogni paese dotato di un sistema giornalistico dotato di spina dorsale sarebbero state fatte a pezzi ormai da lustri.
Senza contare l’ormai cronico balbettio dei cosiddetti policymaker europei, da Barroso a Trichet ad Angela Merkel, che ormai perde in casa ogni elezione amministrativa, ed anche se i temi locali sono dominanti, qualcuno dovrà spiegarci che pensa l’elettorato tedesco di una coalizione rossoverde che dà segni di voler guidare l’evoluzione dell’eurozona verso una maggiore integrazione fiscale, sia pure molto più “democratizzata”.
Che fare, quindi? Partiamo dalla constatazione che la Grecia è fallita. Da qui parte un effetto-domino che si abbatte sulle banche dell’Eurozona, che stanno progressivamente perdendo l’accesso ai mercati interbancari e si trovano ad emettere bond a condizioni proibitive, ammesso e non concesso di riuscirvi. Quindi, se partiamo dal presupposto che i default sono parte della vita, potremmo coniare un motto anglo-latino: oportet ut default eveniant, serve lasciare che i default accadano. Da qui si deve poi puntellare il sistema bancario europeo, che oggi appare drammaticamente sottocapitalizzato per reggere all’ambiente tossico che ci troviamo intorno. Per questo pare dotato di raziocinio il suggerimento di Christine Lagarde e del FMI. Ricapitalizzazioni pubbliche e private del sistema bancario, magari utilizzando un fondo di stabilizzazione finanziaria europea (EFSF) ricapitalizzato in modo robusto, espressione del “consorzio” di garanzia europeo ed amplificatore delle risorse fiscali (residue) di cui gli stremati paesi dell’Eurozona dispongono. Da un matching di fondi privati e pubblici si otterrebbe la selezione più o meno naturale delle banche che riusciranno a sopravvivere.
Naturalmente, siamo ancora nel più assoluto denial, da parte delle autorità europee e dei banchieri. Almeno a livello di prese di posizione pubbliche; c’è motivo per ritenere che in privato le considerazioni siano differenti, pur se caratterizzate da un ormai permanente stato confusionale, come dimostrano le considerazioni del numero uno di Deutsche Bank, Josef Ackermann, che dice un secco no al “metodo-Lagarde”, ma al contempo confessa candidamente che le banche europee non riuscirebbero a sopravvivere se dovessero valutare a prezzi di mercato il debito sovrano sui loro libri contabili. Eppure questo è proprio il parametro che è stato di fatto escluso dall’ultimo stress test bancario e dal precedente!
Lasciar accadere i default e ricapitalizzare in forma mista le banche che hanno possibilità di sopravvivere è l’unica via. Tutto il resto sono diversivi. A meno di voler imboccare una strada realmente “americana” e scatenare la Bce in un epocale easing quantitativo, espandendo il proprio bilancio in operazioni di acquisto di debito sovrano dei PIIGS, e non solo. Certo, sarebbe una violazione dei trattati europei, e segnatamente del divieto di monetizzazione dei deficit pubblici, ma non si può avere tutto, nella vita.
