Una giornata di epocali non-eventi, quella di oggi. Il presidente uscente e quasi uscito della Bce, Jean-Claude Trichet, fornisce la visione dell’Eurotower su congiuntura, consolidamento fiscale, manovra italiana e molto altro. In precedenza, l’Ocse aveva presentato il proprio Interim Economic Assessment, in cui prevede un bel colpo di freno all’attività economica globale.
Trichet ha tagliato le stime di Pil sia per il 2011 che per il 2012, enfatizzando che i rischi al ribasso per l’economia dell’area euro si sono intensificati. Ma non al punto da indurlo ad assumere già oggi un orientamento espansivo di politica monetaria. Sul fronte dell’inflazione, i rischi sono ora “bilanciati” e non più al rialzo. Trichet ha rigettato sdegnosamente la tesi del FMI di Christine Lagarde: le banche europee non hanno problemi di capitale (“restiamo alle valutazioni degli stress test”), e le condizioni di liquidità “continuano ad essere ampie”.
Al contempo, però, Trichet non ha annunciato alcuna nuova fornitura di liquidità di lungo termine (12 mesi), né ha elaborato circa il fatto che porzioni ampie e crescenti del sistema bancario europeo sono ormai dipendenti dalla fornitura di liquidità della Bce, mentre l’interbancario è sempre più dislocato ed inaridito. Né Trichet ha parlato di come la Bce intenda gestire i rischi di un collaterale la cui qualità è in via di deterioramento. Ma queste sono le esigenze di realpolitik entro la Ue, anche se forse sarebbe meglio parlare di condizioni di negazione della gravità della situazione. Trichet ha anche parlato del nostro paese, pur senza voler scendere in dettaglio circa modi e tempi di prosecuzione del programma di acquisto di titoli italiani e spagnoli da parte di Francoforte. Nessun diktat all’Italia, dice Trichet (e non poteva dire diversamente), e manovra che va nella direzione dei “primi impegni” assunti nei confronti della Bce. Contento lui, che resta comunque soprattutto il supplente dell’europolitica, e fors’anche la vittima.
Chi invece si è decisamente sbilanciato sulla nostra correzione è il capo economista dell’Ocse, Pier Carlo Padoan, per il quale la manovra contiene “diverse misure che vanno nella direzione giusta”. Tra esse, l’economista cita l’obbligo costituzionale di tenere il bilancio in pareggio, la parificazione dell’età pensionabile sulle donne e l’abolizione delle province, quest’ultima “una volta attuata consentirà molti risparmi”. In generale queste misure “vanno nella giusta direzione”. Forse Padoan è un inguaribile ottimista, e pensa che davvero possa esistere una cosa chiamata “abolizione delle province”, e che possa pure finire col produrre risparmi imponenti. Quanto all’innalzamento dell’età pensionabile delle donne, forse Padoan si è distratto e non ha guardato il sentiero di aggiustamento, che dopo l’ultima riscrittura della manovra si accorcia di “ben” due anni. Quanto all’obbligo di pareggio di bilancio in Costituzione, abbiamo già detto.
Quello che oggi Padoan non ha detto è che una manovra centrata per almeno il 65 per cento su tasse (quota che sale a circa l’80 per cento considerando che i “tagli” agli enti locali si tradurranno in aumenti di tassazione locale) è la via più breve per l’inferno. E’ incredibile come a volte prominenti figure pubbliche, ai vertici della professione economica, si perdano per strada in questo modo. Se anche in questo caso si tratta di una forma di realismo, ci pare decisamente sovra-enfatizzato, al limite dell’endorsement per una manovra demenziale che pagheremo carissima. Ma queste temporanee perdite del lume della ragione (per assopire mercati che sanno perfettamente quale bluff stia dietro tutte queste manovre) non ci sono sconosciute: la nostra migliore palestra è Confindustria e la sua presidente, che ad esempio dapprima invocano un aumento Iva in funzione di do ut des, per tagliare il cuneo fiscale sul lavoro, e poi si dicono “soddisfatti” per un aumento che servirà solo per fare cassa. Contenti pure loro, cornuto e mazziato il paese.
Ma l’Economic Outlook dell’Ocse è comunque tutto da guardare, almeno a livello di presentazione. Ci sono tante belle figure colorate, di quelle che anche Gasparri dovrebbe riuscire a decodificare. E non dicono nulla di buono. A livello di numeri, ad esempio, se la crescita tedesca dovesse effettivamente contrarsi dell’1,4 per cento annualizzato nel quarto trimestre, il nostro paese farebbe una brutta fine, in virtù del moltiplicatore del commercio internazionale. Ah, e secondo l’Ocse l’esigenza di ricapitalizzare le banche esiste e persiste, nel “medio periodo”. Un arco temporale che, oggi, equivale a poche settimane. Non pensate neppure lontanamente di slacciarvi le cinture.
P.S. E’ piuttosto triste spiegare battute e titoli dei post; ad ogni buon conto, la chiave è questa.