Diario della crisi – 24 novembre

(Aggiornato continuamente nel corso della giornata, anche se oggi è Thanksgiving)

– Arriva l’inflazione e non ho nulla da mettermi: in Germania il breakeven inflation rate, cioè l’indicazione approssimativa del tasso d’inflazione “previsto” dai titoli di stati indicizzati ai prezzi al consumo, sulla scadenza a cinque anni è pari allo 0,96 per cento, in precipitosa ritirata da livelli peraltro non elevati. Facciamo pure la tara per l’imperfezione dello strumento, che soffre di distorsioni indotte dalla liquidità, ma prendiamo atto che non c’è alcuna pressione inflazionistica in corso ma, più verosimilmente, il mercato comincia a prezzare uno scenario traumatico. Naturalmente, i puristi tra voi possono sempre dire che non c’è deflazione, visto che i breakeven sono sopra lo zero. Beati voi, che non conoscete come sono costruite le curve forward, che dobbiamo dirvi?

A proposito di tassi, avete visto dov’è il rendimento del decennale americano? E’ all’1,87 per cento, in un paese che ha un rapporto deficit-Pil del 10 per cento e che non riesce a mettere in piedi uno straccio di piano di rientro dal deficit. Forse per merito dell’Operazione Twist? Difficile, troppo piccola. Per merito del solito effetto flight to quality da ogni parte del pianeta, visto ad esempio che i depositi delle banche estere presso la Fed sono ai massimi storici? Questo è già più verosimile. E l’inflazione tedenziale americana è al 3,5 per cento complessivo. Quindi non dite che l’asta del decennale tedesco di ieri è andata male perché i tassi nominali erano troppo bassi. Che dovrebbero poi dire i britannici, con un’inflazione tendenziale euro-armonizzata al 5 per cento ed un rendimento del governativo decennale al 2,16 per cento? Occorrerà trovare nuovi alibi. Oppure prendere atto che l’Eurozona sta diventando radioattiva, per gli investitori.

Si tende ad affermare che l’Eurozona necessiterebbe di una svalutazione del cambio, per indurre crescita, e questo giustificherebbe un’azione di easing quantitativo della Bce. Può essere, ma questo avrebbe fondamento se l’Eurozona, nel suo complesso, avesse un deficit delle partite correnti. Invece, quel saldo è vicino allo zero, perché l’avanzo tedesco-olandese è compensato dal deficit dei PIIGS più la Francia. Svalutare il cambio, oggi, con un sostanziale equilibrio delle partite correnti, potrebbe essere visto dai nostri partner commerciali come un tentativo di beggar-thy-neighbour, e suscitare devastanti reazioni protezionistiche. Poiché gli squilibri (di competitività) sono tutti interni all’Eurozona, è lì che si deve intervenire. Questo tra l’altro conferma la “stupidità” di un approccio ragionieristico di pareggio di bilancio senza riforme di struttura per alzare la competitività dei paesi coinvolti.

Nel frattempo, il rumour mill europeo funziona a pieno regime. Oggi si favoleggia di una Bce che potrebbe prestare tramite operazioni di lungo termine (LTRO, Long Term Refinancing Operations) a 2-3 anni rispetto al massimo attuale di 12 mesi, peraltro appena reintrodotto. Servirà a qualcosa? Non lo pensiamo. Un tempo poteva servire per permettere alle banche di comprarsi titoli di stato ad alto rendimento, lucrando il differenziale tra tassi a debito e a credito, evitando vendite di emergenza. Oggi occorre fare i conti con il fatto che la liquidità è scomparsa anche dal primario, non solo dal secondario, ed ogni asta (non solo quelle italiane) è ormai divenuta un giorno del giudizio. Non vorremmo che, di questo passo, la Bce arrivasse a offrire operazioni di rifinanziamento decennali (detto per gusto di paradosso, non equivocate), perché in quel caso si farebbe prima a comprare direttamente i titoli in asta.

Il vertice trilaterale di Strasburgo è (forse) servito per una photo opportunity del reingresso dell’Italia nel “club che conta”, rompendo (fintamente) il duopolio Merkel-Sarkozy. E’ poca cosa, lo sappiamo, ma del resto ricordate che, ai tempi del “miglior governo italiano degli ultimi 150 anni”, venivano individuati elogi al nostro paese anche solo dall’angolatura del labbro dei leader europei. Per la sostanza, Monti non se l’è sentita di appoggiare subito le richieste francesi di schierare il bazooka della Bce, sia perché la richiesta sarebbe caduta nel vuoto ed innescato nuove tensioni, sia perché (forse) Monti vuole prima mostrare che gli italiani hanno fatto i compiti a casa. Come che sia, è utile segnalarvi che modifiche ai trattati europei che vadano nel senso di sanzioni cogenti per i paesi che sforano sono la minestra riscaldata della prima versione del patto di stabilità, e faranno la stessa fine. Merkel si illude, se pensa di cavare qualcosa da questa direzione. Possibile che nessuno in Germania afferri il concetto di pro-ciclicità e la sua pericolosità o illusorietà?

Strana dichiarazione del ministro del Lavoro, Elsa Fornero: la riforma previdenziale è già in larga misura fatta, serve solo accelerarla. Scusi, professoressa, ma dissentiamo: nella riforma previdenziale “già fatta” non c’è traccia dell’introduzione del sistema contributivo pro-rata per tutti, di cui da anni lei ci spiega la necessità. Non è che gli abbracci con Cesare Damiano le hanno confuso le idee?

BEIGermany5
Breakeven Inflation Rate Germania, 5 anni

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