La morte ed il fisco risolvono ogni problema

Il premier Mario Monti si accinge ad illustrare la manovra italiana (che ieri Angela Merkel ha definito “impressionante”) ad Olli Rehn, commissario europeo agli Affari economici e monetari. Sarebbe stato preferibile comunicare la manovra prima (o almeno contestualmente) ai diretti interessati, cioè ai contribuenti italiani, che della stessa dovranno sopportare l’onere, ma forse ci sfugge qualcosa.

Nel frattempo, sui giornali siamo al frastuono di boatos sulle misure che saranno prese. La perla del giorno è di Repubblica che, riguardo la possibile misura di inasprimento Iva, riesce a rassicurare i lettori con questa impegnativa riflessione:

«A favore dell’aumento dell’Iva c’è la situazione ormai in recessione del paese (si attendono i dati Istat del terzo trimestre per certificarla) e lo scalino dell’imposta sui consumi non dovrebbe far salire l’inflazione»

Che è come dire: tassiamo di più i consumi senza timore per l’inflazione, perché tanto i consumi sono già praticamente morti che a nessuno dovrebbe venire in mente di ritoccare i listini all’insù. Che sul piano logico non farebbe neppure una piega se non fosse che, per evitare ad un paese di crollare, oltre alle tasse serve anche la crescita. E i consumi delle famiglie sono parte rilevante della crescita del Pil. Se il Pil cala (e vedrete di quanto è calato, già dal trimestre corrente), anche il gettito fiscale cade, si aprono nuovi buchi che devono essere inseguiti con nuove strette fiscali, visto che di crescita non se ne parla, poiché i diktat tedeschi e della Ue impongono una gigantesca e subitanea austerità fiscale in Eurozona, nel demenziale convincimento che questo servirà a migliorare la fiducia e a far ripartire l’economia.

Un sostegno alla domanda verrebbe se i proventi dell’inasprimento dell’Iva venissero effettivamente destinati a ridurre il costo del lavoro, sia dal versante delle imprese che da quello dei lavoratori. Ma se i buchi di bilancio sono tali da richiedere solo gettito aggiuntivo e non consentono operazioni di spostamento del carico fiscale a saldi invariati, ecco che il disastro è servito. Con buona pace di Angela Merkel e del capo della Bundesbank (e membro della Bce), Jens Weidmann, che sostengono che il livello dei tassi d’interesse è la spia di comportamenti fiscalmente viziosi. Nella situazione attuale ciò non è affatto vero, perché i rendimenti di mercato salgono a causa dell’evaporazione della liquidità causata dal crescente pessimismo sulla possibilità che l’Eurozona sopravviva. Forse sarebbe meglio accantonare la cecità ideologica ed affidarsi a qualcuno che sappia leggere la realtà. Ma i tedeschi non sono i più versati, in questo genere di esercizi.

Piccola nota domestica sui metodi per combattere l’evasione fiscale. Nei giorni scorsi Milena Gabanelli ha suggerito, rilanciandolo in una rarissima intervista (a Gad Lerner, nel corso de l’Infedele) che un modo molto efficace sarebbe l’applicazione di un’imposta su versamenti e prelevamenti di contante, in attesa che tutti comincino ad usare carta di credito e borsellino elettronico. Tesi invero piuttosto bizzarra, per i motivi ben spiegati su lavoce.info da Thomas Tassani, e che si possono ricondurre al fatto che la capacità contributiva, che è presupposto dell’imposta, non è rilevabile dalla semplice movimentazione bancaria di contante.

Oltre al fatto che una simile imposizione sarebbe regressiva, visto che i soggetti a minore reddito tendono a detenere maggiori saldi monetari. La replica della Gabanelli, confermando che l’autrice non ha competenze in materia, è l’abituale giaculatoria sulla progressività tributaria solennemente sancita dalla Costituzione, eccetera eccetera. Questa è la frase in cui si rifugiano di solito i gabellieri professionisti, quelli che vorrebbero tassare tutto quello che si muove. Solo che bisognerebbe piantarla di misurare la progressività in base al singolo tributo, e cominciare a farlo sul complesso dell’imposizione in capo al contribuente. Diversamente si finisce con l’invocare l’esproprio, e chiunque dissenta è un evasore da impiumare col catrame. La controreplica di Tassani è molto paziente, ed altrettanto netta:

«Il fatto di prelevare o versare denaro contante ha una valenza economica solo generica, ma non esprime di per sé una capacità contributiva, perché rappresenta un atto neutro, visto che tale capacità è eventualmente manifestata (e quindi tassata) in un altro e distinto momento: quando si produce il reddito, quando si consuma, ecc»

E ancora:

«Su questa scia, mi sembra inevitabile un’ultima considerazione “provocatoria”: i prelevamenti ed i versamenti in contante sono già oggi pienamente “tracciabili”.
Da diverso tempo, infatti, il Fisco italiano ha la possibilità di avere la completa conoscenza dei rapporti bancari di tutti i contribuenti e, quindi, di verificare anche prelevamenti e versamenti. Questi stessi dati, poi, possono essere posti a base degli accertamenti tributari quando non corrispondano al quantum dichiarato dal contribuente, addirittura con una inversione dell’onere della prova. Nel senso che è il contribuente a dover dimostrare di non avere evaso, in presenza di versamenti o prelevamenti che non sia in grado di giustificare»

Appunto. Qualcuno lo dica alla Gabanelli, ammesso e non concesso che arrivi a comprenderlo, visto che pare aver deciso che o si tassano le movimentazioni di contante o muerte. Se vogliamo contrastare l’evasione occorrono altri metodi: dichiarazione patrimoniale ogni anno e verifica della congruenza delle sue variazioni annuali con la movimentazione di conto corrente, affidata alla Agenzia delle Entrate. Tassare ogni bancomat è da barbari, cara Gabanelli. O da ammalati di furore ideologico.

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