Macromonitor – 4/12/2011

Dopo una settimana di pessime notizie arriva un robusto rally, sorretto da migliori dati di attività negli Stati Uniti e speranze di compromesso sulla politica fiscale su entrambe le sponde dell’Atlantico.

Nelle ultime settimane i Bund tedeschi hanno assunto un andamento simile a quello degli asset rischiosi, apprezzandosi al crescere del mercato azionario, a differenza dei Treasury statunitensi, che mantengono la tradizionale dinamica opposta. Questo andamento appare il riflesso delle scelte dei policymaker europei, che hanno dichiarato ammissibile il default di ogni paese dell’Eurozona, e proseguirà verosimilmente fino alla comparsa di scelte di policy non convenzionali da parte della Banca centrale europea. Negli Stati Uniti, il fallimento del Super Comitato congressuale, la settimana scorsa, ha aumentato il rischio di stretta fiscale “involontaria”, dal prossimo gennaio. Ma negli ultimi giorni la probabilità di un accordo sulla proroga del taglio ai contributi sociali nelle retribuzioni è aumentata, e se ciò avvenisse le stime di crescita per il 2012 dell’economia statunitense verrebbero aumentate di poco meno di un punto percentuale. Ma anche in questo caso, l’esigenza di un consolidamento fiscale non verrebbe evidentemente meno, né scomparirebbe la stretta fiscale implicita nell’esaurimento di stimoli precedenti, con rischio di ricaduta in recessione dell’economia americana.

I più forti dati macroeconomici statunitensi della settimana (segnatamente l’ISM) creano comunque più fiducia circa la possibilità di evitare una recessione. Lo stesso non può tuttavia dirsi per il resto del mondo. Gli indici di attività manifatturiera in Asia ed Europa indicano contrazione. Parte dell’attuale debolezza asiatica deriva dalle inondazioni in Thailandia, e dovrebbe quindi essere temporanea. Tuttavia, parte di tale debolezza è da ascrivere ad una forte inversione di tendenza dell’immobiliare cinese, che dovrebbe frenare la crescita del paese. Le autorità cinesi hanno iniziato un processo di allentamento monetario, con la riduzione del coefficiente di riserva obbligatoria, ma il rischio di un hard landing dell’economia persiste.

In Europa, tutti gli occhi sono puntati sul vertice dei capi di stato del 9 dicembre. Vi sono crescenti speranze che i policymaker europei siano finalmente riusciti ad anticipare il mercato, con la creazione di una unione fiscale che consentirà alla Bce di diventare effettivo prestatore di ultima istanza. Ma troppe volte, in passato, tali attese si sono rivelate illusorie. Allo stato attuale, il consenso degli osservatori va in direzione di un prestito del Fondo Monetario Internazionale all’Italia, con il supporto di Bce, EFSF e forse anche altri soggetti internazionali. Secondo alcune case d’investimento tale prestito potrebbe raggiungere i 500 miliardi di euro.

Sul mercato del reddito fisso, spread dei periferici europei in sensibile restringimento, sulle speranze di un “lieto fine” dell’imminente vertice europeo. Una modesta mossa verso un’unione fiscale appare sufficiente moneta di scambio per ottenere ulteriore supporto di liquidità da parte della Bce, molto probabilmente in associazione con il Fmi. Ma la lunga sequenza di fallimenti di vertici europei “decisivi” induce alla massima prudenza. In settimana, l’azione coordinata delle banche centrali sul costo degli swap ha ridotto l’onerosità di reperimento di dollari fuori dagli Stati Uniti. Malgrado ciò, persistono anomalie: un titolo di stato giapponese a due anni, convertito in dollari, rende ad esempio ancora un punto percentuale più del Treasury di pari scadenza.

Ulteriore supporto di liquidità per le banche dell’Eurozona è previsto in settimana, con il probabile taglio del tasso chiave della Bce all’1 per cento, mentre resta molta attesa per indicazioni da parte di Mario Draghi su ulteriori riduzioni del costo del denaro. Ad oggi vi sono ipotesi di una discesa del tasso Bce fino allo 0,5 per cento entro il primo semestre 2012.

Sul mercato azionario, forze contrastanti incidono sulle previsioni. Da un lato, la stagionalità positiva del mese di dicembre, e l’ottimismo sulle azioni dei policymaker negli Stati Uniti e in Europa; dall’altro, il deterioramento del quadro macro ed il persistentemente elevato rischio di delusione dal vertice del 9 dicembre, come accaduto in ognuno di questi appuntamenti negli ultimi due anni. Nel 2011 l’azionario statunitense ha significativamente performato meglio delle altre regioni, e la tendenza potrebbe proseguire anche il prossimo anno, a causa della recessione in Europa e delle difficoltà dei paesi emergenti dal versante di crescita ed inflazione.

Sul mercato dei cambi, dollaro cedente in settimana, su ipotesi di azioni di policy coordinate su base globale per impedire la riedizione del 2008. Tuttavia, dato il posizionamento ancora difensivo degli investitori (con posizioni lunghe di dollari prossime ai massimi di tutti i tempi), il movimento non sorprende. Le valute sembrano inoltre aver perso ogni legame specifico con eventi di singoli paesi: i problemi sistemici dell’Europa guidano tutti i movimenti, come evidenziato dalle correlazioni tra coppie di valute, anch’esse ai massimi storici. Un’unione fiscale in Eurozona rafforzerebbe significativamente l’euro, eliminando squilibri fiscali in una zona valutaria che è già priva di squilibri esterni (partite correnti). La domanda di riserve valutarie espresse in euro, considerando che gli Stati Uniti continuano a mancare di un piano di lungo termine di riduzione del deficit, diverrebbe molto forte. Ma questo è soprattutto un meta-scenario, più che una previsione.

Le materie prime avanzano in settimana del 4 per cento in dollari, con progressi per tutti i settori. I mercati petroliferi appaiono molto stretti, e ci si attende che l’Opec reagisca ad ogni flessione rilevante dei prezzi. Persiste e si accentua, per contro, il rischio geopolitico in Medio Oriente, con la crescente tensione tra Iran e comunità internazionale. Le sanzioni in corso di discussione limiterebbero seriamente la capacità iraniana di esportazione del greggio. Date le condizioni generali del mercato, queste misure avrebbero potuto causare forti rialzi, se adottate nel recente passato. Tuttavia, con la domanda di greggio vista in rallentamento nel primo semestre 2012 ed il ritorno dell’offerta libica, il mercato dovrebbe avere sufficiente capacità in eccesso per assorbire l’eventuale venir meno dell’offerta iraniana. Esiste tuttavia il rischio che Tehran possa bloccare preventivamente il proprio export, in caso percepisse le sanzioni come inevitabili. Ciò potrebbe causare uno shock ai prezzi, poiché avverrebbe prima della creazione di offerta alternativa.

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