Macromonitor – 29/1/2012

Anche questa settimana il rally sui mercati rischiosi è proseguito, malgrado la flessione del mercato statunitense. Dati economici in miglioramento, banche centrali che allentano ulteriormente la politica monetaria o suggeriscono la possibilità di farlo.

Gli indici dei direttori acquisti, indicatori anticipatori di attività economica, promettono un tono migliore per Cina ed Europa già nel primo trimestre di quest’anno. Le banche centrali hanno ripreso un atteggiamento decisamente orientato all’ulteriore rilassamento della politica monetaria. La Federal Reserve in settimana ha segnalato (a maggioranza dei propri membri) che non si attende un rialzo dei tassi per altri tre anni, oltre un anno in più rispetto alle attese del mercato. Ben Bernanke ha inoltre reso esplicito che un nuovo episodio di easing quantitativo resta tra le opzioni sul tavolo. In Europa c’è ormai crescente fiducia che il finanziamento triennale della Bce dello scorso dicembre si stia riversando almeno in parte in acquisti di debito sovrano da parte delle banche, mentre si attende la seconda asta triennale, il prossimo 29 febbraio. Sui mercati emergenti l’inflazione rallenta, consentendo alle banche centrali di allentare la stretta monetaria (ultima in ordine di tempo l’India, con un taglio di mezzo punto del coefficiente di riserva obbligatoria).

Secondo evidenze aneddotiche, il recupero degli attivi rischiosi sta avvenendo con posizioni ancora timide (spesso attraverso riduzione di sottopeso) ed un atteggiamento degli investitori soprattutto tattico, anziché fondamentale. La crisi dell’Eurozona è lungi dalla risoluzione, e secondo alcuni analisti potrebbe essere entrata in una fase di “cronicizzazione”, con le potenti iniezioni di liquidità della Bce che servono (o dovrebbero servire) ai politici per acquistare tempo e implementare una soluzione strutturale, cioè definitiva e durevole, della crisi. Quest’ultima implica forme di accesso ai finanziamenti per i paesi in difficoltà, modalità di attuazione dei vincoli a deficit e debito pubblico e di attuazione di riforme realmente orientate alla crescita. Un processo di non breve periodo.

Negli Stati Uniti, dopo il dato non esaltante relativo al Pil del quarto trimestre ed un flusso di dati di attività meno univocamente positivo, l’attenzione sembra destinata sempre più a spostarsi sulla campagna elettorale presidenziale (con i repubblicani che non hanno ancora di fatto identificato una leadership da contrapporre a Barack Obama a novembre).

Sul mercato del reddito fisso, la decisione della Fed ha prodotto, non sorprendentemente, effetti equivalenti a quelli di un taglio dei tassi, con conseguente irripidimento della curva dei Treasury che dovrebbe favorire le operazioni di carry trade. Vi sono tuttavia anche elementi di cautela nella lettura della mossa della Fed, visto che la previsione di tassi bassi almeno fino a fine 2014 è ovviamente contingente e soggetta a revisione dinamica.

I paesi periferici dell’Eurozona continuano a beneficiare di acquisti alimentati dalla liquidità fornita dalla Bce, con Italia e Spagna ancora vistosamente beneficiate. La rilevante eccezione è il Portogallo, per effetto di timori che la ristrutturazione del debito detenuto dai privati non si arresterà alla Grecia, oltre che per il continuo deterioramento delle metriche di finanza pubblica del paese iberico.

I paesi emergenti hanno beneficiato di un calo dei rendimenti in valuta locale, che ora si approssimano alla parte bassa del corridoio dell’ultimo semestre. Alla base di ciò soprattutto l’atteggiamento delle banche centrali, che stanno divenendo più inclini a stimolare la crescita, in presenza di una decelerazione dell’inflazione.

I mercati azionari fanno segnare un modesto rialzo settimanale, con ciclici, emergenti ed Eurozona tra i migliori. Il miglioramento degli indici dei direttori acquisti, come detto, depone a favore dei titoli ciclici. Si segnalano performance positive anche per le obbligazioni convertibili, titoli che come noto beneficiano sia del rally azionario che di quello del credito.

I mercati del credito stanno seguendo la ripresa dei mercati rischiosi, dopo una lieve disconnessione iniziale. Negli Stati Uniti si segnalano forti afflussi di portafoglio negli High Yield, in corso da qualche settimana, che contribuiscono a stringere gli spread. Dinamiche analoghe, sia pure meno vistose, sono in atto in Europa.

Sul mercato dei cambi, dopo l’esito del FOMC di questa settimana, appare chiaro che le due maggiori banche centrali del mondo hanno assunto una posizione di fornitura di liquidità abbondante ed a buon mercato che si annuncia destinata a durare a lungo. Per riuscire a far deragliare quello che appare come un carry trade globale su credito, valute e obbligazioni periferiche servirebbero eventi davvero traumatici, come un default disordinato della Grecia o una prematura stretta fiscale negli Stati Uniti. Tali rischi non sono comunque remoti, ma se fossero evitati possiamo ritenere che vi sarebbero le basi per riprendere una dinamica rimasta bloccata negli ultimi mesi: ritorno di capitali nei mercati emergenti, intervento delle banche centrali di quei paesi per bloccare la tendenza all’eccessivo apprezzamento delle valute locali, e riciclaggio finale nelle valute principali dei paesi sviluppati, in diversificazione rispetto al dollaro. I flussi di capitali in entrata sull’azionario emergente appaiono già molto sostenuti, e le valute locali mostrano un robusto apprezzamento sul dollaro. Se tale ciclo proseguirà come nel passato, l’euro dovrebbe partecipare al rialzo dei mercati rischiosi, recuperando quindi sul dollaro.

Materie prime in rialzo settimanale di circa il 2 per cento in dollari, con i metalli base che mettono a segno un recupero del 5 per cento. C’è un evidente miglioramento di tono ed aspettative rispetto alla asset class, ma si attendono conferme circa la stabilizzazione e segnali di effettivo avvio della ripresa economica globale.

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