Portogallo, o della sfida alla legge di gravità

Mentre attendiamo il lieto fine posticcio della ristrutturazione del debito pubblico greco detenuto dai privati (che non cambierà di una virgola lo stato tragico dell’insolvenza di Atene), da qualche giorno il Portogallo è tornato nel mirino dei mercati, con un violento allargamento degli spread ed un altrettanto vistoso aumento dei rendimenti su titoli che non sono mai stati particolarmente liquidi.

Difficile dire quale possa essere stato il trigger di questo smottamento: il paese sta effettivamente mancando i target di consolidamento fiscale concordati con l’Europa, ma questa non è esattamente una notizia. Si potrebbe pensare che il downgrade del 13 gennaio da parte di S&P abbia impattato più che in altri paesi perché con questo declassamento il Portogallo è divenuto junk e quindi i gestori passivi, quelli che replicano i benchmark obbligazionari globali, diventano venditori forzosi. Anche qui, difficile pensare che possano esserci società di gestione così rintronate da non aver già da mesi derogato alle regole di investimento e di replicazione passiva del benchmark, e non essersi quindi liberate della carta portoghese. Ma se così fosse, il commento è uno solo: ve le meritate tutte, le agenzie di rating.

Come che sia, che accadrà, ora? Il Portogallo dovrebbe tornare sui mercati il prossimo anno, ma è di tutta evidenza che ciò non sarà possibile. Il paese ha un forte deficit gemello (fiscale e delle partite correnti), una base di export piuttosto limitata, un elevatissimo debito privato e società pubbliche che non riescono più ad andare sul mercato e rinnovare il proprio debito, e presto il governo dovrà necessariamente riportarsele in casa, se non vuole sperimentare dei catastrofici fallimenti.

Che dire del Portogallo? Che il paese sta facendo i compiti a casa, a differenza della Grecia, eppure (o forse a causa di ciò) sta finendo dritto nello sciacquone. Che diranno i moralisti teutonici, molti dei quali hanno passaporto italiano e sognano di germanizzare il continente, trasformando tutti in scattanti esportatori, inclusi quelli che da esportare hanno poco o nulla? Perché ai sopracitati moralisti non viene in mente che, quando il settore pubblico aumenta il proprio risparmio in contemporanea a quello privato, serve un boom della bilancia commerciale per sopravvivere, come dimostra il caso irlandese? Peccato che di Irlanda ve ne sia una sola, e attrezzarsi per clonarla richiede tempo e pazienza, l’ingrediente di cui i mercati sono terribilmente scarsi.

E ancora: tutti quelli che invocano una svalutazione interna, cioè una deflazione, come strumento per recuperare competitività in una unione valutaria, dovrebbero riflettere sul fatto che una deflazione aumenta l’onere reale dello stock di debito, e porta inevitabilmente al default. Ancora una volta: i default sono parte della vita, basta gestire il contraccolpo sull’elefante italiano nella cristalleria europea. Perché com’è che era?, il contagio è un’invenzione delle banche e dei trader cattivi, a difesa dei loro bonus.

Ma pare davvero troppo difficile da capire, in questa Europa cupamente germanizzata.

Rendimenti titolo di stato portoghese a 2 e 10 anni

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